9 agosto - Lido di Anzio – Pontecagnano

La sveglia, data alle 6.30 dall’Ughino, solito a “destarsi” così presto, non trova invece ugualmente pronti il Gianni ed Alberto, che abitualmente infatti non riescono a definire simili precoci risvegli se non come insopportabili levatacce.
Le prime impressioni sulla notte appena trascorsa non sono tra le più felici: il Gianni, oltre a dormire e riposarsi, si è infatti preoccupato, suo malgrado, dice, a svegliarsi spesso e malvolentieri per trascorrere veri e propri quarti d’ora a gonfiare e sgonfiare quel maledetto materassino al fine di raggiungere un grado di comodità quanto meno rassomigliante a quello di cui normalmente gode nel suo letto; ma invano. L’Ughino s’è invece dannato l’anima tutta la notte per via delle macchine in continuo transito a due passi da noi e, come se non bastasse, con i fari spiegati e illuminanti a giorno. Alberto infine è quello che ha dormito meglio di tutti e le testimonianze degli altri sul suo russare lo attestano, ma, dice, preferisce senz’altro di più il suo comodo letto.
Evacuiamo alla spicciolata dalla tenda e si dà inizio, dopo l’igienica lavatura mattutina, alla smontatura della stessa e alla sistemazione di tutta la roba nel portabagagli, che, disposta più razionalmente di ieri mattina, vi trova posto in maggior quantità. Rimangono infatti fuori soltanto le pentole, che vengono sistemate sul sedile posteriore sinistro.
Dopo un’ora e mezzo di lavoro, siamo in grado di partire. Breve sosta presso la direzione per saldare il conto, £ 1.450, e per ritirare le carte d’identità, quindi, riaffaciatisi sul viale, puntiamo decisamente verso Sud. Raggiungiamo di nuovo Anzio, dove, mentre l’Ughino provvede ad impostare una lettera scritta ierisera, effettuiamo un primo rifornimento.
Poi, dopo essere passati da Nettuno, imbocchiamo un lunghissimo rettilineo e quindi, dopo un attimo di distrazione che ci aveva fatto involontariamente proseguire l’interminabile rettifilo e che ci avrebbe portato a Latina, seguiamo una deviazione sulla destra immettendosi su una superstrada molto scorrevole nonostante il già intenso traffico.
E’ domenica oggi e per di più appartenente alla settimana di ferragosto: sono numerosissime perciò le auto, soprattutto della provincia di Roma, che, caricate di ogni accessorio di carattere balneare, stanno guadagnando il domenicale mare. La superstrada, costeggiata sulla destra dal fitto Parco Nazionale del Circeo, si protrae per diversi chilometri ed è caratterizzata dalla presenza, ogni due, tre chilometri, di periodiche aiole spartitraffico di forma ovale allungata, la cui funzione, a parte quella estetica, ci risulta non troppo chiara.
Verso le 9.15, dopo essere usciti dalla frequentata arteria, avvistiamo laggiù in fondo sulla destra il Monte Circeo, che si getta a strapiombo nel mare, raggiungendo una decina di minuti più tardi S. Felice Circeo, già affollata da aspiranti bagnanti e congestionata da un traffico cittadino già abbastanza caotico. Con non poca difficoltà, riusciamo a svincolarci dal centro abitato e trovare una strada, che s’inerpica ripidamente sul Monte Circeo, facendo scorgere a tratti il panorama sottostante davvero suggestivo per la posizione a strapiombo della parete montuosa e della strada stessa sulla spiaggia e sul mare. La bellezza delle vedute ci fa venire subito una gran voglia di fermarci per impressionare il maggior numero di fotogrammi, ma decidiamo di salire ancor più su con la speranza di trovare altri squarci di pari e magari anche di maggior interesse e bellezza.
Arrivati però alla sommità, dove la strada scollina, ci accorgiamo che il bello è già passato. Dopo essere ricalati un pochino sul versante opposto, decidiamo allora, senza darsi per vinti, di seguire una strada, piuttosto dissestata, che sale ancor più su lungo il pendio, ma che ad un certo punto s’interrompe per diventare molto probabilmente privata. Scendiamo di macchina e la prima cosa che costatiamo è il forte vento che spazza l’intero fianco del rilievo, caratterizzato in quel punto da numerose e lunghe cinta di mura singolarmente disposte, che quasi certamente hanno la funzione di evitare smottamenti. La veduta sul mare anche da quassù non è un gran che: sulla destra spicca un piccolo faro, forse fuori uso; al centro domina incontrastato un mare azzurro leggermente increspato; sotto una delle tante ville che punteggiano l’intera valorizzatissima zona, a cui non manca niente per essere definita “chic”.
Scendiamo di nuovo sulla strada principale e raggiungiamo una deviazione sulla destra verso il mare, già adocchiata mentre venivamo in giù, che, stando al segnale indicatore, sembra che porti di lì a 300 metri ad alcune grotte. Visto e considerato sicché la relativa vicinanza e la strada ancor più buttata all’aria della precedente, decidiamo allora di parcheggiare il 124 all’imbocco e di proseguire a piedi. I 300 metri, molto ottimisticamente preventivati, risultano però almeno il doppio e col caldo che fa e la fretta che ci perseguita, ci sembrano addirittura il triplo. La strada poi, dopo un primo tratto piuttosto sconnesso, si presenta carrozzabilissima e questo fatto ci fa ancora più rabbia al pensiero che avremmo potuto evitare questa scarpinata venendo in macchina. Continuiamo però sempre ad andare avanti passando in rassegna una dietro l’altra le numerose villette – di cui alcune dei veri e propri gioielli – che si affacciano, spesso aggrappate alla scoscesa costa, su un larghissimo squarcio di mare. Chissà se in fondo c’è pure la spiaggia.
Alla fine la strada si allarga in una specie di piazzetta, adibita al parcheggio delle auto dei turisti e vigilata da un custode che, avvicinatolo, si definisce addirittura,a torto o a ragione, il proprietario del sottostante terreno e quindi anche delle grotte. Dall’aspetto non si direbbe, né tanto meno dalle fiatate di vino che disgraziatamente Alberto riceve in piena faccia, mentre gli chiede informazioni per raggiungere queste benedette e sudate cavernose spelonche. Le indicazioni non risultano tra le più chiare, ma riusciamo a capire alla meno peggio che ancora non siamo arrivati. Occorre infatti adesso scendere per un viottolo contornato da ulivi, che conduce ancor più giù verso il mare.
Raggiungiamo infatti dopo breve gli ultimi scogli a strapiombo sul mare, avvistando finalmente l’agognato buco nella roccia, che ha proporzioni grandissime. Per raggiungerlo, utilizziamo una naturale scaletta ricavata nella roccia, che a sbalzelloni ci porta davanti all’ingresso del sospirato antro quasi al pelo dell’acqua.
Entrati dentro, ci rendiamo subito conto della grandezza della grotta, che presenta in fondo una piccola apertura, che con molta probabilità fa accedere ad altre più interne e sotterranee cavità, ma che nessuno di noi, per un certo senso di paura, ha il coraggio, non dico di addentrarvici e di esplorare, ma neppure di avvicinare. Rimaniamo quindi nel vano principale di questa mastodontica grotta, che presenta innumerevoli pieghe lungo le pareti e sul cielo, alla cui sommità c’è un ulteriore buco, che sembra, con un po’ di fantasia, una specie di cappa del camino. Il tutto è di un verde cupo. Scattiamo qualche foto all’interno, ovviando all’inconveniente della scarsissima luce, puntando  l’obiettivo verso l’esterno, e poi riusciamo.
Risaliti sulla piazzetta, dopo aver immortalato anche la costa, ringraziamo con una mancia l’omino ‘briaco di dianzi, ripercorrendo quindi quella maledetta strada “lunga solo 300 metri”.
Giunti in fondo sudati fradici, prendiamo posto in 124 e ci avviamo per tornare a S. Felice Circeo, avendo particolare cura di tenere ben chiusi i finestrini per evitare qualche pericolosa imbeccata fuori programma.
Tornati nel punto dove la strada raggiunge la massima altezza e dove, come abbiamo visto dianzi, si possono godere le migliori vedute del sottostante panorama, rallentiamo solo un pochino, ma a nessuno viene in mente di scattare qualche fotografia.
Altro movimentato svincolo dall’ingorgo cittadino, una volta rientrati a S. Felice Circeo, e siamo sulla strada che porta a Terracina, che, senza grosse novità, raggiungiamo, dopo essere stati di nuovo imbottigliati in un altro intricato ingorgo. Ci distraggono un po’ nel dover rispettare la lunga coda, la radio con Gran Varietà e poi, raggiunto il lungomare un paio di autostoppiste, avvistate dall’occhio vigile di Alberto. Un attimo di indecisione ci pregiudica però ogni possibilità di compagnia. Preferiamo infatti in un primo tempo fermarci a fotografare delle rocce qualche decina di metri più avanti, posteggiando la macchina entro un piazzale utilizzato nella parte più interna per il più o meno autorizzato scarico della mondezza e spazzato in questo momento da violente raffiche di vento. Quando poi prendiamo la decisione, ormai tarda, di tornare indietro a raccogliere le due ragazze, ormai è troppo tardi, visto che già una 500 si è offerta con successo a dar loro il richiesto passaggio. Che sfortuna, boia miseria!
Un po’ delusi, proseguiamo ancora verso Sud, percorrendo ora una veloce e panoramica strada che corre, a ridosso dell’entroterra collinoso, lungo il perimetro costiero, costituito da successivi golfi e insenature di varia ampiezza, già pullulanti sulle rispettive spiagge di numerosi bagnanti. Lo spettacolo è veramente entusiasmante, accentuato com’è nella sua bellezza da un cielo azzurrissimo e da un sole splendente, che fa risaltare ogni colore.
Il tratto, snellito anche dalla presenza di qualche galleria, è lungo poco più di una trentina di chilometri. Poi si entra a Gaeta, dove ci soffermiamo un attimo sul lungomare per dar modo ad Alberto di immortalare un caseggiato di modeste condizioni e al Gianni di togliersi fli opprimenti pantaloni rimanendo però, per fortuna, in mutandine da bagno.
Si riparte: la strada si presenta adesso completamente diversa da quella che abbiamo or ora lasciato. Questa infatti, lunga, diritta, interminabile, si stende lungo una insulsa pianura tra campi coltivati, che non suscitano però un benché apprezzabile interesse da parte nostra.
Si avvicina intanto mezzogiorno e torna di nuovo attuale il problema della fame, non però quello inerente ai popoli sottosviluppati, bensì quello relativo ai nostri stomachi. Ci piacerebbe oggi mangiare ad un’ora più decente di ieri e, visto che stasera ci sono da percorrere parecchi chilometri e tutti molto interessanti, e che non abbiamo avuto occasione di comprare la cartuccia del gas, decidiamo di non perdere tempo con tegami e tegamini e di andare quindi a mangiare da qualche parte una fugace pizza, tanto più che ci avviciniamo a Napoli.
Raggiunto così il successivo centro abitato, Mondragone, stranissimo agglomerato di case dal punto di vista topografico, tagliato com’è per più di un chilometro da un lungo rettilineo della Statale, ci organizziamo per individuare al più presto la prima pizzeria: Alberto tiene d’occhio il lato destro della strada, l’Ughino quello sinistro invece, mentre il Gianni, per ovvi motivi di sicurezza, è preferibile che tenga d’occhio tutta la strada.
Trascorre qualche minuto ed alla fine ha la meglio l’occhio dell’Ughino, che ne avvista una dalla sua parte, che però presenta subito il non indifferente problema del parcheggio, che risulta infatti di incerta soluzione. Alla meglio però, dopo qualche manovra in mezzo ad un bel traffico, riusciamo a posteggiare il 124.
Il Gianni, per cercare di assumere un aspetto un po’ più serio, si infila i blue-jeans, ma il tentativo, c’era d’aspettarselo con quella faccia, naufraga miseramente; Alberto si assicura invece di avere con sé la fedele Petri, sempre pronta a farsi schiacciare implacabilmente il grilletto…hmm, cioè il pulsante di scatto.
Raggiungiamo la pizzeria, funzionante pure come ristorante, attraverso un passaggio fra le case, che ci immette su un cortile adibito a sala da pranzo e coperto da un verde bersò, dove, data l’ora, non c’è anima viva. Ci sediamo; ma è subito tempo di rialzarsi, dato che la proprietaria, affacciatasi dalla cucina e venuta a sapere che cosa vorremmo mangiare, ci avverte che le pizze vengono infornate solo verso le 18.00, cosicché sorge spontanea la seguente riflessione: ieri, va bene, mangiammo alle 16.00, ma aspettare oggi addirittura le 18.00 per mangiare solo una banale pizza, ci sembra un po’ esagerato.
Tornati in strada, riprendiamo posto in 124 e ci rimettiamo in cammino. La possibilità di pranzare a base di pizza viene scartata definitivamente, se qualche dubbio persisteva ancora, da una nuova conferma, raccolta presso una seconda tavola calda, circa l’abitudine di preparare le pizze non prima delle 18.00. Quasi come se la pizza avesse un orario protocollare per essere servita, come, che so io, il thè. Bah!
Ripartiamo e verso le 12.30 decidiamo di fermarci ad un alimentari per prendere tutto l’occorrente necessario per farci un par di panini. Si occupano di fare l’adeguata provvista l’Ughino e Alberto, che comprano, oltre ad affettato di vario genere, l’unico tipo di pane disponibile, vale a dire una mezza scoletta per ciascuno di esagerato spessore, che, dalle dimensioni, siamo certi che da sola potrà mettere a tacere per un bel pezzo il nostro appetito. Alberto, investito dell’altissima carica di cuciniere ufficiale, s’incarica di imbottire i panini, mentre di nuovo in marcia, incontriamo ancora un po’ di traffico lento. Per non perdere altro tempo decidiamo di mangiare in macchina, cosicché il Gianni resta al volante, mentre gli altri sgranano con non poche difficoltà il… panino.
Dopo un quarto d’ora buono, il tempo effettivo impiegato per poter deglutire il tutto, l’Ughino passa al posto di guida, mentre tocca adesso al Gianni pranzare, riducendosi pure lui a sforzarsi non poco a dovere ganasce e arcate dentarie, oltre che ad imbriciolarsi tutto. Si prendono intanto i tempi del pranzo, per sapere con esattezza verso che ore sarà possibile fare il bagno senza pericolo di congestione.
I chilometri si succedono intanto abbastanza velocemente, anche se la radio ci annuncia grossi ingorghi nella zona di Napoli e invita gli automobilisti a seguire itinerari più consigliabili per evitare pazzeschi imbottigliamenti. La segnalazione ci preoccupa un po’ e siamo in forse se attraversare il centro di Napoli o meno. Raggiungiamo intanto Pozzuoli – località conosciuta da tutti e tre in occasione della catastrofica gita scolastica dello scorso inverno – e ad un bivio non troviamo di meglio per sciogliere ogni nostro amletico dubbio, che chiedere a due centauri della Polizia il miglior da farsi. Sorprendentemente veniamo consigliati di attraversare il centro di Napoli e il suggerimento risulta, a pensarci bene, più che logico, visto che, essendo il traffico causato dai napoletani smaniosi del mare, la città, se non è deserta, deve essere per forza semivuota.
Entriamo così nel centro del capoluogo partenopeo, venendo subito colpiti dal caotico flusso di auto, guidate in modo particolarissimo: gente che va contro mano, che ti sorpassa a destra, che ti sbuca quando meno te l’aspetti e che instancabilmente è attaccata al clacson, con immaginabili deleterie conseguenze per la pubblica quiete.
Con l’aiuto di qualche informazione, rilasciataci però, a onor del vero, con premura e pazienza, raggiungiamo la periferia Sud, trovando anche il tempo di rinfrescarci un po’, presso un tipico bar all’aperto specializzato in spremute di ogni genere. Il Gianni e l’Ughino preferiscono però un boccale di birra, che risulta un vero e proprio boccalone, visto che il contenuto è di circa tre quarti di litro, mentre Alberto, onora gli enormi agrumi del meridione ordinando una pastosa aranciata.
Si riparte ed in breve, traversate Torre del Greco, Torre Annunziata e Castellamare di Stabia, siamo sulla tanto attesa Amalfitana. Lo spettacolo, unico forse nel suo genere, si rinnova fin dall’inizio ad ogni curva, ad ogni ponte, ad ogni insenatura superata con la strada spaventosamente ed incredibilmente a strapiombo sul mare, le innumerevoli ville arroccate sulla parete costiera, sotto ed anche sopra la strada con sovente la spiaggetta privata tra gli scogli e insenature, il mare blu, immobile da quest’altezza, che si stampa sotto di noi. Soprattutto quest’ultima immagine ci colpisce non poco, facendo tra l’altro risvegliare in noi il mai sopito desiderio, già cullato in mattinata, di farci un fresco e, perché no, igienico bagno. Ma intanto proseguiamo anche perché le tradizionali due, tre ore di sicurezza dall’ultimo pasto non sono ancora del tutto trascorse. Spesso e volentieri sono d’obbligo brevi soste per riprendere la ripida e vertiginosa scogliera che s’inabissa nell’acqua, o l’invitante e allettante distesa azzurra, che presenta però, purtroppo, alcuni tratti leggermente inquinati.
Poi, giunti a Sorrento, decidiamo di scendere sulla spiaggia. Parcheggiato con difficoltà il 124 e per di più abbastanza abusivamente davanti ad un’autorimessa, prendiamo macchine fotografiche, mutandine da bagno, pinne, asciugamani e chiavi e ci avviamo lungo una scoscesa stradina, che, a detta del pratico Alberto, porterebbe ad una spiaggia a dir poco fantastica.
La stradina, fattasi ancora più stretta, rasenta poco dopo il vuoto e poi scendendo sempre di più s’incunea in una piccola insenatura – superata da un ponticello – che potrebbe definirsi una vera e propria vasca da bagno. Ma purtroppo della sua bellezza se ne sono accorti in molti, addirittura in troppi, dato il notevole ed esagerato sguazzio rispetto alle sue ridotte dimensioni di parecchia gente; così, anche per il fatto che l’acqua risulta piuttosto ricca di bucce di vario genere e di sospette bollicine formanti una non poco allettante e tanto meno igienica schiuma, ci va via subito la voglia.
Dopo qualche minuto di sosta, decidiamo di accantonare per il momento di fare il bagno e di proseguire quindi ancora per l’Amalfitana, non perdendo comunque ancora la speranza, poiché un’altra spiaggia sarà facile poterla trovare. Piuttosto sconsolati, riprendiamo la stradina di prima, che, se dianzi poteva essere definita una ripida discesa, adesso ci appare maledettamente in salita. Arriviamo su in paese e in fin dei conti possiamo dirci soddisfatti di aver potuto fare il bagno: ora precisare se detto bagno sia d’acqua di mare o se non piuttosto di sudore, ci sembra del tutto dispensabile. Torniamo al 124 e leviamo le ancore.
L’Amalfitana a questo punto s’addentra nell’interno e per superare un certo dislivello sale abbastanza velocemente portandoci in un batter d’occhio in un ambiente montano. Traversiamo S. Agata, dopo aver sbagliato e subito ritrovato la strada, poi scolliniamo. La spia della benzina comincia intanto a lampeggiare, ma siamo per ora abbastanza fiduciosi di trovare un distributore di benzina a breve scadenza.
Lungo poi i numerosi tornanti che ci portano sulla costa meridionale della allungata penisola Sorrentina, avvistiamo sul ciglio della strada, in strategica appostazione, alcuni venditori di arance, che alla fine invogliano pure noi ad assaggiare. Scende Alberto e risale poco dopo in macchina con un fronzuto ramo con tanto di foglie e, ancora attaccate, una buona quantità di arance, per di più di grossezza inusitata. Cominciandole a sbucciare costatiamo però che la maggior parte del loro volume è costituito da una spessa buccia incommestibile e che inoltre la polpa risulta non poco acquosa e insapora. La voglia comunque ce la siamo tolta.
In breve la strada torna a correre lungo il mare e di nuovo si fa entusiasmante, ora poi che il sole, sceso un tantino dietro la parete rocciosa, crea strani giochi di luce. Si rinnovano ogni tanto le soste, ma anche quando non possiamo fermarci, la nostra andatura risulta più che moderata, turistica. Uniche preoccupazioni magari son quelle di trovare al più presto un posticino per fare il bagno, visto che ora risulta assolutamente indispensabile una bella lavata, dato quel non so che di appiccicoso che ci sentiamo addosso, e di rifornire il serbatoio della benzina, che piano piano va inesorabilmente prosciugandosi.
Dopo altre curve e controcurve, gallerie e ponti, è la volta di Positano con la sua ridente posizione proprio al centro di una stretta insenatura e con le case fittamente annidate lungo lo scosceso tratto di costa. La strada, serpeggiando nel centro abitato, scende e risale con tortuose svolte, determinando, anche per la ridotta larghezza che la caratterizza e le numerose automobili posteggiate ai lati, un traffico lento e pieno di ingorghi. Pure i passanti danno il loro contributo ad esasperare la situazione già di per sé caotica, ma il loro tranquillo camminare, senza badare nemmeno alle auto, che, solo per l’abilità o la pietà del pilota, spesso non li mettono sotto, animano simpaticamente il tutto costituendone una piacevole cornice.
Domandiamo intanto ad un militare – con la speranza di non far la fine di ieri – se esiste nei pressi una pompa di benzina. Alla sperata risposta affermativa, ci sentiamo riavere. Un po’ meno tranquilli ci sentiamo forse poco dopo, quando, ancora fermi presso il distributore indicatoci, siamo letteralmente sconvolti dalla visione di una negra, altissima, “bbbona” e con un microscopico bikini marrone, che con passo solenne ci passa ad un palmo di distanza. Seguiamo ammutoliti l’esotica bellezza insieme a molti altri buongustai – fra cui lo stesso benzinaio, che, se non ha rovesciato la benzina per il grave stato di eccitazione in cui è entrato, è stato un miracolo – poi, uscita dal nostro campo visivo la mirabile silhouette, riprendiamo lentamente la nostra strada ancora mezzi rimbambiti, mentre il tentativo di dimenticare si fa sempre più comprensibilmente arduo.
Il sole si sta intanto inclinando sempre più sull’orizzonte, pronto per esibirsi nel consueto tuffo fra qualche ora: saremmo altrettanto pronti ad imitarlo pure noi, ma più che andiamo avanti e più ci abbandona la speranza di lavarsi… pardon!, di fare il bagno. E il fatto ci scoccia alquanto, se si pensa anche che domani è in programma una tappa di completo entroterra e che quindi dovremo sopportare il sudore, se va bene, fino a dopo domani.
Giungiamo ad Amalfi, dove la gran confusione e l’impossibilità di posteggiare il 124, ci costringe a tirare di lungo. Scendono solo per un attimo Alberto e il Gianni, che, lasciato l’Ughino in macchina per far fronte alle eventuali prevedibili rimostranze di altri automobilisti anche loro in transito sulla intasata piazza lungomare, vanno a comprare in un negozio qualche cartolina, la cui scrittura siamo però obbligati a rimandare per ragioni di tempo a più tardi. Di nuovo tutti e tre a bordo, imbocchiamo il successivo tratto di Amalfitana, già percorsa, non solo da Alberto, di casa da queste parti e non soltanto per via del cognome, ma anche dagli altri, grazie sempre alla succitata gita scolastica. I chilometri che stiamo coprendo ora risultano però, quantunque continuino ad offrire uno dei più grandiosi spettacoli che si possa pretendere dalla natura, un po’ meno entusiasmanti dei precedenti, veramente molto più imponenti e suggestivi.
Traversiamo Minori, quindi Maiori, poi raggiungiamo Vietri. Poco prima semmai ci siamo fermati lungo la strada per comprare presso una bancherella “un po’ di cocomero”, come avevamo detto, ma l’acquisto è risultato però un tantino più massiccio del previsto: addirittura un intero cocomero e per giunta grossissimo, peso quasi nove chili! Abbiamo preso anche un poponcino, così per qualche giorno la frutta non ci manca.
Usciti dalla periferia Sud di Salerno, localizziamo dopo qualche chilometro Pontecagnano, dove secondo i programmi trascorreremo la notte. La ricerca del camping, indicato dall’apposita cartina, è abbastanza difficoltosa. Forse ingannati dal fatto che dalla carta Pontecagnano risulta più lontano dal mare, ci addentriamo infatti verso l’interno, ma, percorsi alcuni chilometri senza trovare alcun cartello indicatore, decidiamo di tornare sulla Statale, ricevendo conferma dell’esistenza di un campeggio – anzi, dice, ce ne sono addirittura due – sull’arteria poco prima lasciata, da un ragazzino, che, pedalando a nostro fianco su una sproporzionata bicicletta, ci dà ansimando tutti i ragguagli necessari. Il primo camping, eccolo lì sulla sinistra, può essere però definito tale, solo perché c’è scritto sull’entrata, poiché a prima vista sembrerebbe piuttosto un accampamento di nomadi, per cui non ci rimane che raggiungere il successivo, denominato Isola Verde, che ci appare poco dopo, alle 20.00 passate, situato su un vasto spiazzo quasi del tutto sprovvisto di alberi a qualche centinaio di metri dal mare.
Il tempo sembra intanto debba cambiare da un momento all’altro purtroppo non nel senso sperato, ma in quello opposto, visti i grigiastri nuvoloni che avanzano minacciosamente verso di noi e un poco raccomandabile ventaccio di mare. Mah! Speriamo che, data la posizione scoperta del camping, non si debba avere inaspettatamente nottetempo come tetto un cielo di stelle.
Prendiamo posizione, dopo aver sbrigato le normali pratiche burocratiche, nella parte centrale del camping, che si presenta nel complesso non eccessivamente affollato, accanto ad una tenda di tedeschi. Dal momento poi che fa già scuro preferiamo tirar su la nostra Canadese, il cui montaggio, affidato all’Ughino e al Gianni, risulta, anche se abbastanza difficoltoso per il terreno molto duro e compatto, migliore di quello ieri, grazie alla benemerita scoperta del Gianni, che i tubi in dotazione vanno benissimo se sistemati però come si deve e non invertendoli come successe ieri. Meno male! Ci dispiace solamente per il tubo di quell’omino, ma ormai non vediamo alcuna soluzione per rimediare.
La tenda si trova dietro due cespugli di canne ed è riparata dalle eventuali raffiche di vento provenienti dal mare anche dal 124, posteggiato nel mezzo. Unico problema è costituito dalla torcia dell’Ughino, che per le pile scariche non è capace di fare altro che una fioca luce rossastra. I servizi sono piuttosto lontani e, da una prima ricognizione che effettuiamo, d’insufficienti attrezzature. Comunque. In compenso proprio a due passi da noi abbiamo due acquai dotati di acqua corrente e riparati – si fa per dire, per il vento che si sta alzando sempre più – da una tettoia di canne, materia prima quest’ultima a quanto pare di tutto il camping.
Sorge intanto il problema della cena, che risolviamo aprendo il popone e finendo le arance. Forse fuori posto, si moltiplicano le battute del Gianni, che accanisce la sua abituale caustica ironia sulla “sostanziosa” cena, che stiamo consumando e sbrodolando; ma d’altra parte non ci sembra il caso di metterci a quest’ora a far da mangiare, tanto più che ci manca anche il gas, di cui a causa della giornata festiva non ci siamo potuti rifornire. A questo proposito semmai, un ultimo tentativo si era fatto, anche in vista di domani, appena entrati in camping presso lo spaccio, ma per vera sfortuna erano sprovvisti di cartucce del nostro formato. Ci penseremo domattina.
Il dopo cena – a dir cena è esagerato! – sarebbe in programma di trascorrerlo ai tavolini del ben attrezzato spaccio con l’intenzione magari di trovare la compagnia di qualche collega campeggiatrice, ma per il gran pienone siamo costretti a relegarci su un deserto e lungo tavolo di legno, dove, all’estremità opposta, da solo sorseggia una birra un ragazzo, che, stando ai detti, se non altro, ci dovrebbe portare fortuna: infatti è gobbo.
Dopo aver scolato il solito boccale di birra, viene il momento di curare la corrispondenza, cosicché tiriamo fuori le cartoline di Amalfi e le riempiamo. L’Ughino, non contento, scrive anche una lettera, mentre il Gianni si diverte a personalizzare con le più impensate bischerate i suoi bizzarri saluti a casa.
Fatte altre quattro chiacchiere e un par di battute sulle ragazze a parziale sfogo della nostra smania di compagnia, che ci passano davanti, affidiamo la corrispondenza al gestore dello spaccio e, tornati alla tenda, diamo inizio alla fase notturna, cominciando con u consueti lavaggi e finendo con la chiusura ufficiale del 124, in cui stasera in ogni ordine di posto regna una babelica confusione.
Poco prima delle 23 facciamo ingresso in tenda.
La disposizione dei rispettivi giacigli sarà diversa a causa del Gianni, che non se la sente di rovinarsi di nuovo il sonno a confondersi con quel diabolico materassino, che non lo soddisfa affatto. Il materassino in questione passa così all’Ughino e di conseguenza il Gianni, per non dormire sulla sola e dura terra, passa al centro sfruttando in tal modo, oltre alla morbidezza delle coperte di sua dotazione convenientemente sistemate, anche per la parte superflua quella dei sacco a pelo di Alberto e dell’Ughino, disposti rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra.
Accendiamo anche stasera la radio, ma poco dopo ci addormentiamo.