15 agosto - Boscotrecase - Avezzano

Stamattina - e sono solo dieci alle sette - è l'Ughino a fungere da sveglia agli altri, rinunciando così ormai a cercar di riaddormentarsi di nuovo, dopo una notte in cui non è riuscito a chiuder occhio per lunghi periodi, a causa di un gruppo di romani attendati presso di noi, i quali, dice, dopo esser rientrati ubriachi fradici a mezzanotte passata, hanno poi trascorso l'intere notte in rumorosa baldoria, che - senti come vociano! - continua tuttora. L'Ughino appare perciò, da come sta imprecando a dirotto contro la romana progenie, parecchio indiavolato. Non per nulla, ma è già la seconda volta che in otto giorni gli rovinano il sonno, visto che già al Lido dei Pini presso Anzio, ebbe occasione suo malgrado di poterne verificare l'insufficiente educazione che li accomuna. Il Gianni e Alberto, dormendo sempre profondamente, non si sono invece accorti di niente: beati loro.
Usciamo di tenda, che il campeggio è ancora assorto nel sonno.
Smontiamo alla svelta la canadese e ricarichiamo il 124, che appare stamattina ricoperto da un leggero velo di guazza notturna. Il tempo comunque sembra debba reggere. Dopo esserci lavucchiati ed aver lasciato decentemente in ordine la nostra postazione, lasciamo anche il Camping Vesuvio. Alla direzione il Gianni restituisce il talloncino di controllo e paga il conto di 1.050 lire. Quindi diamo inizio alla settima tappa, quando, secondo il programma, stamattina saremmo dovuti partire da Praia a Mare. Sono le 7.40.
Imboccata così la stradina sulla destra, ci reimmettiamo poi sulla stessa erta di ieri sera, che stavolta però percorriamo in discesa fino a ritrovare, una volta arrivati in fondo, la strada che come suggeriscono numerosi cartelli, dovrebbe portare a Napoli. Praticamente però non usciamo dal centro abitato, che a occhio e croce difatti dovrebbe continuare ininterrottamente fino a Napoli.
Alberto ci fa sottolineare intanto che stamattina non si è sentito finora suonare un solo clacson al contrario di quando attraversammo questa zona sei giorni fa. L'inaspettata e beffarda susseguente suonata dal dietro di una macchina, ci fa però scoppiare in una risata sulla osservazione di Alberto, divenuta così sfortunatamente fuori posto.
Poco dopo sulla sinistra, avvistiamo un distributore, dove, siccome il serbatoio piange, facciamo il pieno.
Ripresa la marcia, raggiungiamo poco dopo la periferia di Napoli percorrendo adesso una larga arteria, dove ambigui cartelli indicatori ci fanno perdere ben presto la bussola, che solo dopo qualche informazione e alcuni giri pesca, riusciamo a ritrovare. Le strade sono già piuttosto animate con ai lati due ali di folla, la cui massiccia presenza non ci sentiamo però di giustificare con il nostro passaggio. Oggi difatti è Ferragosto cioè l'Assunzione in Cielo della Madonna, cosicché da buoni napoletani, tanto per non smentirsi nella loro risaputa devozione, staranno certamente aspettando l'imminente processione, per il cui passaggio sono stati disposti per terra, lungo i marciapiedi, lunghissime micce intercalate ogni mezzo metro circa da rossi petardi - i loro famosi botti -, che, conoscendo le rumorose abitudini di questa gente, saranno sicuramente di lì a poco fatti scoppiare in segno di giubilo e di festa. Da parte nostra preferiamo però proseguire per la nostra strada, onde evitare il sicuro imbottigliamento che si verificherà di conseguenza e pure l'assordante sinfonia di mortaretti, tanto più che il 124, siccome ha solo tre anni, potrebbe pure impressionarsi e non vorremmo perciò che cominciasse a far le bizze.
Dopo sicché aver difatti intravisto su una contrada a destra numerose persone intorno alla processione ormai prossima a partire, entriamo nel centro di Napoli, ripercorrendo in definitiva lo stesso itinerario dell'andata, che ci riporta tra l'altro in una grande piazza sempre nelle vicinanze del porto, sul cui lato opposto al mare, scoviamo fortunatamente, data la festa per antonomasia celebrata oggi, un bar aperto, dove potremmo fare colazione. Posteggiamo perciò nei pressi la macchina ed entrati all'interno del locale completamente deserto, ordiniamo tre caffè che accompagnamo con qualche pasta scelta negli assortiti vassoi.
Fermatoci così lo stomaco, riprendiamo adesso la marcia ed imbocchiamo poco dopo un lungo sottopassaggio ferroviario utilizzato nella riservata corsia centrale pure dai tram, sotto cui, accendendo la radio, ne costatiamo, nonostante il tunnel, il perfetto funzionamento che ci sconcerta non poco per l'intermittenza a cui va stranamente soggetto.
Un'altra considerazione che ci vien di fare è suggerita dalla frequenza con cui nell'attraversare questa città, sia possibile vedere numerosi moto-furgoncini guidati come al solito di gran carriera, con due, tre, quattro bambini sul ristretto piano posteriore. Ogni momento se ne vede uno. Quasi che la condizione di questo tipo di veicolo sia consentito solo a chi sia provvisto di figlioli da poter sistemare dietro. Boh!
A questo punto intanto dovremo uscire da Napoli in direzione di Caserta, ma la segnaletica poco chiara o assente e informazioni piuttosto poco attendibili, fra cui quella dì uno spazzino, ci stanno facendo ritrovare molto probabilmente in tutt'altra parte, riconoscendo difatti tra l'altro un parco di divertimenti sul tipo di Disneyland, che già avevamo incontrato sei giorni fa, provenienti però dalla litoranea campana.
Alberto nel frattempo adocchia esposto presso una pasticceria, un cartello in cui si reclamizzano certe sfogliatelle, che ritiene squisite specialità locali e che per poter fare assaggiare anche agli altri, impone adesso una nuova fermate. Scende lui solo, mentre sia l'Ughino che il Gianni hanno ben poca voglia di fare una seconda colazione. Di nuovo a bordo, va a finire così che il solo a mangiarle sia soltanto Alberto, visto che l'Ughino le rifiuta tassativamente ed il Gianni si limita a mangiarne solamente un pezzetto tanto per fargli compagnia.
Fatto poi un centinaio di metri, passiamo di fronte ad una caserma, sul cui ingresso il marmittone di ramazza è tutto impegnato nella mattutina pulizia. La conseguente e prevedibile canzonatura ai danni dell'imminente recluta Ulivi arriva puntuale, ma bonaria.
Andando ancora avanti, abbiamo poi la conferma di quanto avevamo avuto impressione prima, circa l'errata direzione in cui ci siamo incamminati, riconoscendo difatti la già percorsa salita che porta a Pozzuoli, impegnata pure durante la catastrofica gita scolastica, e che ora siamo costretti nonostante il programma ad imboccare di nuovo. Per di più l'ascesa risulta lentissima a causa della lunga immaginabile coda di macchine protese verso il mare, che si è venuta qui a creare e che invece molto probabilmente, avendo preso la strada diretta per Caserta, non avremmo trovato nel nostro senso. Sul marciapiede di destra si rinnovano intanto ogni cinquantina di metri, alcuni venditori ambulanti, fra cui parecchi bambini, che smerciano sacchetti di biscotti di Napoli, che il Gianni avrebbe quasi quasi voglia di comprare, ma che, da buon conoscitore della zona, vengono immediatamente sconsigliati da Alberto, che stamattina sembra però si diverta pure ad imporre i propri gusti. Il Gianni ne prende comunque atto e non ne fa di nulla.
Lentamente intanto ecco avvicinarsi al culmine della salita, mentre come solitamente succede in queste circostanze, si fanno vivi i soliti furbastri, che s'insinuano a destra e a sinistra e in ogni modo per cercare di guadagnare qualche posizione in fondo inutile.
Passiamo intanto davanti all'Accademia dell'Aeronautica militare alla nostra sinistra, visitata nel dicembre scorso con la scuola, mentre sulla destra ecco le fumanti solfatare che, emanando un discreto fetore di uova marce, rendono ancora più insopportabile l'obbligato e pigro incolonnamento.
Poi, finalmente, l'agognato scollinamento, che impone adesso, dopo aver fatto finora prevalentemente uso della frizione, un più frequente ricorso al pedale del freno, incontrastato protagonista di questa noiosa andatura. Sulla sinistra ecco intanto il santuario di quel famoso San Gennaro ritenuto quaggiù un insindacabile esperto in cabale e numeri del lotto, che per altro di tanto in tanto ha la tendenza di farsi a ragione giudicare un incorreggibile santo dal facile ribollir di sangue.
Madonna Santa quanto tempo stiamo perdendo, però!
Alla fine però, tornando la strada pianeggiante, il traffico diventa un po' più agile, mentre noi a questo punto non sappiamo più che pesci pigliare per poter andare a Caserta.
Imbocchiamo comunque una deviazione sulla destra che per lo meno in linea d'aria sembra giusta, ma poi successivi incroci ci mettono di nuovo in difficoltà, rivelandosi così di particolare urgenza una risolutrice informazione. Avvistando sicché una pattuglia motorizzata di polizia stradale impegnata nel dirigere un nevralgico snodo in prossimità di un incrocio con una veloce e più ampia arteria, il Gianni, pur essendo ancora fermi in seconda o terza posizione di fronte allo stop, si sporge dal finestrino e cerca di farsi dire dal gesticolante agente se è questa la direzione giusta per Caserta, di modo che se fosse il contrario, potremmo direttamente proseguire dalla parte opposta. Ne segue invece una inaspettata parte seria del poliziotto, che sempre dal centro della strada, vocifera a sua volta verso di noi qualcosa di incomprensibile, che però, oltre a dimostrare che quell'agente non ha capito nulla, ci sembra di carattere gratuitamente redarguente. Il che ci fa rimanere male e stizzire. Poniamo allora la solita domanda all'autista di un 1500 color tortora che ci è a fianco, il quale molto garbatamente, assicurandoci l'esattezza della direzione intrapresa, ci invita perfino a seguirlo. Meno male.
Avuto il via dallo scorbutico piedipiatti, ci incolliamo dietro alla provvidenziale guida, imboccando così dopo breve una deviazione a destra che si immette su un lungo e veloce viale. Siamo dell'opinione che se non avessimo trovato questo gentile signore dalla moglie piuttosto voluminosa e padre di un par di figlioli, la manovra per ritrovare la via giusta per Caserta sarebbe diventata quasi impossibile.
Certo però, questi signori vanno pianino, eh! Quasi quasi ora lì sorpassiamo, intanto la direzione adesso l'abbiamo individuata. Ci affianchiamo così al 1500 e ringraziamo in coro la cordiale famiglia, che rimanendo per qualche attimo in parallelo con noi, ci ricorda ancora come dobbiamo procedere. Molto bene e grazie.
Staccatici in breve, continuiamo adesso tranquillamente la nostra marcia, che risulta abbastanza spedita grazie a questo bel viale che però non sembra mai finire.
Giunti al successivo bivio però, con estrema e ingiustificata sicurezza continuiamo a dritto ritrovandoci in un centro abitato, di cui ci accorgiamo subito l'inesistente connessione con l'itinerario per Caserta.
Prontamente allora, anche per non far la parte dei cretini agli occhi dei signori del 1500, facciamo una rapida inversione di marcia in una secondaria contrada, per poi imboccare di nuovo il viale che invece girava a sinistra e su cui incontriamo ancora gli snobbati informatori, che si erano accorti del nostro errore e che si erano addirittura fermati per poterci eventualmente reimmetterci di nuovo sulla retta via. La figura risulta da parte nostra fin troppo cacina, dovendo riaffiancarci al 1500 tortora, fare un largo sorriso e riprendere la marcia accodati a loro.
Ecco intanto attraversare in questo momento Santa Maria Capua Vetere, da cui di lì a qualche chilometro ci vien segnalato dai servizievoli coniugi tutti indaffarati per aiutarci, la deviazione d'ingresso nel centro di Caserta, che, dopo aver di nuovo ringraziato e salutato gli encomiabili benefattori di stamattina, seguiamo diligentemente adesso.
Ed ecco finalmente il nostro trionfale (…?...) ingresso nella piazza della Reggia di Caserta, quando ormai l'orologio segna già le 10.30.
Ce ne abbiamo messo di tempo stamattina per percorrere sì e no 90 chilometri, eh! Insomma.
In questa piazza, se ben ricordiamo, ci eravamo già stati durante la gita scolastica dell'anno scorso. Allora i pullman difatti li lasciammo là nel centro, mentre ora, passati davanti all'imponente quanto scopiazzata reggia, posteggiamo il 124 sulla sua estrema destra in zona per altro di divieto di sosta. Su indicazione a questo punto di Alberto, ci sarebbe in programma di andare a visitare un immenso parco, forse quello reale, dalle numerose vasche e fontane di una certa bellezza.
Entriamo così muniti delle fedeli macchine fotografiche in un cancello a lato del palazzo, ritrovandoci in un giardino con diverse persone in ambulante presenza, il quale però in fede ci sembra possa avere poco a che fare col giardino reale. Usciamo così di nuovo sulla piazza, andando allora a vedere se ciò che cerchiamo si trova all'interno del portone d'ingresso alla Reggia. Una volta però raggiunto, lo troviamo ermeticamente chiuso da una solida cancellata che ci preclude così definitivamente l'unica visita di un certo rilievo da potersi fare in Caserta. Siamo perciò per la verità un po' delusi.
Un turista ci chiede intanto il favore di fotografarlo insieme alla famiglia, ignaro forse dell'esistenza pure nel suo apparecchio fotografico di un ingegnoso meccanismo - dice che si chiami autoscatto - capace - si pensi! - di sostituire l'operatore. Si preoccupa Alberto comunque ad esaudire la richiesta del collega turista, ritraendolo così nella più classica foto ricordo.
Attraversata poi la strada in rispetto dei semafori, ci limitiamo poi a riprendere la Reggia dall'esterno, raggiungendo quindi il 124 e ripreparandosi alla partenza.
Ripercorsa a ritroso parte della strada attraverso cui siamo arrivati a Caserta, raggiungiamo e superiamo un mai visto carro funebre di color bianco, che, come ci spiega subito Alberto, è riservato con dubbio buon gusto ai bambini, poi, attraversata Santa Maria Capua Vetere, raggiungiamo Capua imboccando successivamente con relativa facilità - strano! - la statale n. 7, che, dopo essere diventata n. 6, conduce a Cassino.
Per vari chilometri l'arteria è un lungo e fitto viale, che ci permette di tenere una discreta media grazie a frequenti rettilinei intercalati da periodici dossi. Anche oggi intanto - e non sarebbe Ferragosto, altrimenti - fa piuttosto caldo; impressione che proviamo soprattutto quando, terminato il viale dopo una buona cinquantina di chilometri da Caserta, la strada comincia a correre in un'aperta distesa assolata, cosparsa qua e là da successivi bassi rilievi oppure da più imponenti ed aspre montagne, indiscutibili roccheforti dalla completa dominazione della sottostante distesa pianeggiante. Ecco spiegarsi, vedendo la configurazione morfologica di questa zona, la rinomata fama che vuole questa parte d'Italia come punto strategicamente chiave della seconda guerra mondiale, le testimonianze del cui alto prezzo di vite umane cominciano già a presentarci sotto forma di cimiteri in cui son raccolte le migliaia di caduti. A destra ecco infatti una deviazione per il cimitero tedesco; sulla sinistra invece, su un leggero rialzo che la strada cinge per un pezzo, ecco il cimitero italiano.
Ogni volta poi che sullo sfondo cominciamo a scorgere un rilievo più alto degli altri, supponiamo sempre che si tratti di Monte Cassino, mentre invece, passandoci a fianco o evitandolo addirittura, siamo costretti puntualmente a ricrederci, per prendere a quel punto in considerazione analoga quel cucuzzolo laggiù, il quale però molto probabilmente non avrà ancora niente a che vedere col nostro prossimo obiettivo.
Alla fine però ecco Cassino. Ci dirigiamo subito verso le pendici dell'omonimo monte per poter raggiungere la contesa abbazia, ma solo dopo aver raccolto l'informazione di prammatica presso una coppia di vecchini, siamo in grado di imboccare in questo momento la carrozzabile che lentamente porta a quota 520 m, sul livello del mare.
La strada, comodamente ampia, si arrampica sulla ripida parete montuosa compiendo secchi tornanti che la fanno assomigliare ben presto ad una ripida scala. Ad ogni scalino superato poi, il sottostante paesaggio e in particolare il panorama di Cassino, definibile di quassù veramente aereo, si allontana sempre più provocando però al tempo stesso la strana sensazione di trovarcisi sempre più sopra. Lo strapiombo è davvero notevole, tento che se il Gianni - c'è da giurarci - scambiasse il successivo tornante per un veloce rettilineo, farebbe non poco irritare gli altri, in caso, specie, di un rovinoso decollo del 124. Procediamo comunque a modesta andatura anche per poter godere il fantastico scenario ed anche a causa di un codazzo forse più lento del necessario formatosi di tornante in tornante e che solo prudentemente cerchiamo di superare nei rettilinei più lunghi.
Giungiamo in vetta che scocca mezzogiorno.
La strada a questo punto penetra all'interno del piatto e spazioso cocuzzolo andando a ricercare l'abbazia che, saliti ancora un tantino sulla sinistra, ci ritroviamo di fronte nella sua mastodontica imponenza. C'è piuttosta gente.
Entrati in uno spiazzato laterale a sinistra dell'ultimo tratto di strada, che sempre in salita porta ai piedi della bianca abbazia, posteggiamo la macchina nell'apposito parcheggio a pagamento, completamente zeppo di automobili.
Saliti poi a piedi all'altezza dell'ingresso, giriamo a destra entro un cancello, costeggiando per un tratto le mura della costruzione e ritrovandoci quindi assieme a molte altre persone davanti al portone che vien tenuto semiaperto a beneficio di una più centellinata osservazione dei visitatori da parte dei custodi censori. Si ripete infatti anche qui il problema delle gonne, sulla cui decenza è un primo custode a giudicare insindacabilmente, passando indistintamente in oculata rassegna per la parte dal bacino in giù signore e signorine. Davanti a noi c'è per esempio una ragazza, che, ritenuta indecorosa per l'ambiente, è costretta adesso a scucirsi l'orlo della sua pur non vertiginosa minigonna e a coprirsi così alla meno peggio le ginocchia, al fine di poter ottenere l'agognato permesso. Da parte nostra, a parte la calca, l'ingresso risulta ovviamente indisturbato, benché, se il Gianni avesse avuto anche oggi l'abbigliamento di Alberobello, saremmo potuti certamente andare incontro a imbarazzanti e sgradevoli equivoci.
Varcato il portone, ci troviamo di fronte ad un secondo custode, impegnato invece a dirottare i turisti muniti di macchine fotografiche in un'adiacente sala alla nostra destra, in modo da depositare i censurati apparecchi. Identica sorte tocca pure a noi e il fatto ci fa innervosire non poco, dato che la nostra visita aveva esclusivamente uno scopo documentaristico. Lasciamo comunque le macchine ad uno dei preti che ne cura la ricezione da dietro ad un lungo bancone al di là del quale, in una serie di scaffalature che potrebbero fare invidia ad un fornitissimo ottico, prendono posto numerate le rispettive Lubitel e Petri.
Usciti dall'indesiderato guardaroba, finiamo di percorrere l'atrio di ingresso e ci ritroviamo sotto un chiosco che gira brevemente intorno ad un verde praticello e sotto il cui colonnato l'attrazione più notevole è costituita da un grande variopinto mosaico sulla parete destra.
Proseguendo, entriamo in un successivo ambiente sempre all'aperto, sulla cui destra ha inizio una lunga scalinata, mentre dalla parte opposta, separata da alcune arcate, si accede ad una terrazza. Al centro invece è sistemata una grande statua. Il tutto, compreso il pavimento, è di marmo o tutt'al più di un materiale che vi assomiglia molto. Abbastanza disinteressati a tutto ciò che in fin dei conti già sommariamente conoscemmo a suo tempo con la scuola, usciamo sulla terrazza che si affaccia su un notevole scenario della parte interna del monte in cui di fronte spicca molto coreograficamente il suggestivo cimitero polacco, tranquillamente adagiato sulla dolce pendenza dell'estremo picco. Più che per l'abbazia infatti siamo tornati quassù per questo indimenticabile monumento, che difatti anche allora nella precedente escursione ci colpì parecchio.
Soddisfatti della panoramica e spaziosa veduta che è possibile godere da questo balcone - mica stupidi i benedettini, eh! - e rimpianta la presenza delle macchine fotografiche, torniamo indietro ripercorrendo il chiostro ed entrando successivamente in una affollatissima stanza adibita alla vendita di cartoline, di ricordini e, come al solito, di rosari, d'immagini sacre e di catenine. Senza per altro comprare niente, rimaniamo per qualche minuto avvolti dalla babelica confusione generata da una rumorosa massa di gente, che, quasi ìmpazzita, si contende a vicenda tre o quattro preti, indaffaratissimi nel servire l'abbondante clientela, che poi, dopo aver ripassato in rassegna tutto l'assortimento di madonnine, immagini di S. Benedetto e merce affine, si alterna sugli appositi scrittoi per riempire pure qualche cartolina; poi, usciamo.
Torniamo allora a riprenderci le macchine fotografiche e quindi, con un po' di difficoltà nel risalire la corrente di turisti, che sempre più decisi ad entrare finiranno per spazientire il già scorbutico ed intransigente custode, varchiamo il portone ed usciamo all'aperto.
Riguadagnato il 124 dopo una foto di Alberto alle bianche mura dell'abbazia ricostruita in seguito ad un rovinoso bombardamento dell'ultima guerra mondiale, paghiamo il dovuto al posteggiatore, un giovane alto e asciutto, rientrando quindi sulla strada e imboccando, dopo esser scesi di qualche metro, una deviazione a sinistra in direzione del cimitero polacco. La stradina sfocia su un piazzale su cui, a sinistra accedendovi, posteggiamo di nuovo la macchina. In fondo si apre un cancello, attraverso cui è possibile seguire un viale, già sperimentato in parte a dicembre col nostro preside, che permette di ascendere lungo le pendici di quell'ulteriore impennata del rilievo e di poter molto probabilmente affacciarsi pure sull'opposto panorama. Accanto invece ecco presentarsi di nuovo laggiù lo spettacolare cimitero polacco raggiungibile attraverso una stradetta asfaltata lunga un trecento metri, che corre fra una selva di pini, per poi attraversare, dopo essere scesa un pochino all'inizio con qualche lungo scalino, una fascia un po' più brulla. Il sacrario è costituito da una gigante gradinata frontale in marmo, piuttosto larga e formata da una decina di lunghe terrazze, su cui son disposti uno dietro l'altro i sepolcri. Sopra, al centro, domina una gigantesca sempreverde croce quadrata composta da folti alberini di bassa statura. All'incrocio dei due bracci, sorge poi un grosso ossario in marmo che completa il suggestivo monumento immerso come tutto in una riposante e silenziosa pace.
L'unica cosa che semmai infastidisce, è il caldo che oggi sembra abbia proprio intenzione di determinare il nostro rispettivo punto di liquefazione.
Percorsa intanto la stradina, entriamo adesso nel cimitero, il cui ingresso è delimitato da due colonne in marmo. Ci ritroviamo all'interno di una vasta rotonda sempre in marmo, al cui centro affiora sullo stesso piano, un braciere spento in cui sono stati abbandonati nastri variamente colorati. Lungo poi il perimetro dell'ampio sagrato circolare, corre a grossi caratteri intarsiati una inintellegibile scritta in lingua polacca.
Portatici ai piedi dell'inclinato sacrario, cominciamo adesso a salire la gradinata centrale, che permette di passare da una terrazza all'altra, in tutto dieci, su cui sono allineati i numerosi sepolcri. Il numero è impressionante: da un rapido calcolo sembra che ce ne siano qualche migliaio.
E solo qui.
Ogni sepoltura ha una grande lastra su cui oltre alla croce sono incastonati i dati anagrafici degli sventurati. Ne scorriamo qualcuno e ci accorgiamo che molti di essi presentano la data di nascita di vent'anni appena anteriore a quella di morte.
Pazzesco!
Su alcune tombe ci sono poi dei fiori oppure ancora nastri e coccarde.
In cima alla scaletta, ecco poi un altare con ai piedi una tomba più imponente, mentre lateralmente, un po’ più distanti ed a fianco del muro con cui termina il cimitero, si aprono due scalette di pochi gradini che ci portano ancora più su, vicino alla croce di alberi.
Utilizzando così un sentiero in cemento, che girando tutt'attorno all'arboreo monumento, agisce pure da argine, possiamo raggiungere l'ossario che costituisce il centro della croce, la quale vista da qui, non ci dà naturalmente l'esatta sua configurazione. Da questa posizione infatti, i bracci della croce non sono altro che un insieme di ben allineati alberini, la cui specie ci è altresì ignota. Dalle coccole sparse per terra, è probabile comunque che appartengano alla famiglia,dei cipressi.
Raggiungiamo intanto l'ossario, il quale è costituito da blocchi di pittra bianca irregolarmente disposti a formare il perimetro ed è coperto da un enorme lastrone con sopra, scolpito, uno stemma di chiara ispirazione bellica. Il tutto produce un certo effetto.
Ricaliamo giù all'ombra dei folti alberinì, rimanendo poi un pochino all'estremità del braccio longitudinale, da cui, sostando un attimo anche per permettere al Gianni di sostituire il rullino già esposto, è possibile osservare l'abbazia situata proprio davanti a noi in posizione un tantino più elevata e leggermente sulla sinistra.
Torniamo adesso sotto i roventi raggi del sole e, scese di nuovo le solite scalette e osservate in silenziosa contemplazione le numerose tombe, con l'intenzione, alla fine però mai soddisfatta, di fotografarle, torniamo sullo spiazzato circolare attraverso altre scalette alla nostra estrema sinistra, là dove il cimitero termina. Alberto intanto fa notare anche agli altri la poderosa cinepresa che si ritrova fra le mani quel turista là in conversazione con una coppia anch'essa straniera, e forse in tutti a sollevarsi è una punta d'invidia.
Rimboccando quindi la stradina, che percorriamo adesso molto lentamente per il caldo insopportabile che imperversa facendoci sudare in maniera veramente esagerata, torniamo sull'altro piazzale riprendendo poi posto in 124, diventato nel frattempo una bollente fornace, con l'Ughino al posto di guida e il Gianni accanto. Pagate altre cento lire al posteggiatore di turno, risaliamo su per la stradina e ci reimmettiamo sulla carrozzabile che vien da Cassino.
Sono le 12.50. Ed è un caldo che si schianta! Resistiamo alla tentazione di spenzolarci fuori dal finestrino per refrigerarsi un po' come fanno i cani, ma non riusciamo però a .rinunciare a qualche sorso d'acqua suzzata dal bottiglione riempito a Napoli, la quale però non ci fa rischiare minimamente la congestione dal momento che anch'essa è schifosamente calda. L'operazione dissetamento risulta poi abbastanza acrobatica oltre che per il pericolo di ritrovarsi completamente inondati ad ogni brusca accelerazione, soprattutto per via dell'Ughino che rimanendo sempre al volante, è costretto a tenere un occhio alla strada ed uno alla pesantissima bottiglia.
Piano piano comunque ecco ridiscendere e valle, cominciando così di nuovo a vedere - eccolo - il panorama a strapiombo di Cassino, che poco dopo raggiungiamo. Di qui, senza tornare in centro, giriamo a destra riprendendo la statale 6.
Dal momento poi che son le una passate, cominciamo a sondare il rispettivo appetito, che troviamo però del tutto assente in tutti e tre i campioni d’indagine, data la vergognosa strippata di Paestum, la pizza mandata in qualche modo giù ieri sera ed infine la colazione napoletana di stamattina. Siamo quindi dell'avviso di accantonare per il momento il problema per riprenderlo in considerazione semmai tra un paio d'ore.
Percorriamo intanto a discreta andatura una veloce strada con scarsissimo traffico nonostante sia Ferragosto e con un paesaggio abbastanza vario tra filari di alberi e vegetazione sparsa.
Proviamo ad accendere la radio e - ohibò! - funziona. Stanno trasmettendo un servizio sulla situazione del traffico odierno sulle strade italiane di maggior comunicazione. Adesso stanno poi intervistando anche alcuni agenti della polizia stradale.
L'Ughino intanto supera di giustezza una macchina un po' troppo lenta.
L'agente intervistato parla da bordo di un elicottero e spiega la loro funzione di sorveglianza sulle numerose automobili in transito questoggì sulle più frequentate arterie, onde segnalare alle pattuglie motorizzate a terra gli eventuali trasgressori del codice della strada. Adesso per esempio, dice, è stato avvistato in manovra di sorpasso in un punto in cui la strada presenta la striscia continua, un 124 di color bianco.
Boia miseria! Ci affacciamo d'istinto al finestrino per vedere se siamo sovrastati da uno sfarfallante elicottero, mentre il fatto che si tratti di una semplice ma curiosa coincidenza, viene subito confermata dalla precisazione degli annunciatori a conclusione del servizio, da cui veniamo a sapere che si trattava di un servizio, per altro registrato, effettuato nelle vicinanze di Roma. Noi sicché c'entriamo come il cavolo a merenda per fortuna, tanto più che, dice l'Ughino, il precedente sorpasso gli era sembrato nei limiti del codice. Divertiti comunque dell'accaduto, continuiamo a marciare.
Sulla sinistra intanto incrociamo ferma una macchina sportiva d'un paio di belle ragazze in difficoltà per una improvvisa panne. La tentazione di fermarsi e di porger loro il nostro disinteressato aiuto è abbastanza stimolante, ma tenuto conto che si trovano sull'opposta carreggiata e nell'altra direzione, tiriamo di lungo.
Dopo una quarantina di chilometri di tranquilla marcia, ci assale intanto la preoccupazione di dover a un certo punto imboccare la deviazione per Avezzano onde evitare di ritrovarsi a Frosinone. Non riusciamo però a capacitarci sul dove possa trovarsi il bivio che c'interessa, cosicché dopo un po' prende sempre più piede l'eventualità di averla già inavvedutamente superata. Boh! A scanso di equivoci così, alla prima deviazione a destra - eccola difatti - pieghiamo sulla destra appunto, cominciando un po' a salire. La direzione dovrebbe essere questa, benché ritrovarsi a Roma o di nuovo a Cassino sarebbe a questo punto tutt'una. Speriamo bene. Il guaio è che inoltre non abbiamo neppure la possibilità di raccogliere qualche preziosa informazione, in quanto per la strada non c'è anima viva e siamo già in piena campagna.
Letteralmente a lume di naso, sì perché cercar di localizzarci adesso sulla carta è assurdo, andiamo avanti per questa stradina non eccessivamente ampia e sicuramente secondaria, preferendo sempre in linea di massima le deviazioni sulla destra nel tentativo di reimmetterci sulla statale saltata.
Attraversiamo intanto deserti paesini di campagna, poi, dal momento che la strada finora percorsa si immette su una che dalle dimensioni sembrerebbe più importante, giriamo ancora a dritta continuando a macinare altri chilometri sotto un sole infuocato. Siamo insomma in tutti i sensi tre pesci fuor d'acqua.
Raggiungendo poi un ulteriore centro abitato, avvistiamo finalmente, in un punto dove la strada scende un pochino, una donnina alla finestra, che, avendole chiesto dove cavolo porti questa strada, ci assicura un po', in quanto nomina Sora, un paese che si trova sulla strada che avremmo dovuto imboccare fin dall'inizio. L'importante comunque è esser riusciti anche se alla cieca a raccapezzarci in questo labirinto ed aver scovato la via giusta.
Un po' più tranquilli, cominciamo a percorrere una decina di chilometri in cui la strada, dopo essere salita ancora un tantino, ridiscende lungo la fiancata di una modesta collina, per poi risalire sulla successiva dove incontriamo un altro paesino.
Si parla intanto un po' del più e del meno, ripassando tre l'altro in rassegna le bellezze femminili collezionate per altro abbastanza platonicamente durante il viaggio e fermandoci adesso a ricordare soprattutto quella ragazza di Praia dell'altro giorno, che sembra stia insidiando molto da vicino il primato detenuto dalla negra di Positano. Ci viene anzi da domandarci in proposito, come avrebbe reagito ciascuno di noi nel caso in cui fosse riuscito putacaso ad imbroccarla, venendo così a stabilire dopo una interessante discussione, che mentre Ics, che tra l'altro è rimasto finora piuttosto zitto, ci avrebbe nella fattispecie pensato più di due volte, Ipsilon, se gli fosse capitato un'occasione simile, non se la sarebbe fatta sfuggire e che invece Zeta ci avrebbe decisamente rinunciato. Molto bene.
Archiviata la disquisizione, che se non altro sarà servita a conoscerci meglio, raggiungiamo intanto Sora che costituisce per noi un vero e proprio punto d'appoggio in quanto adesso sappiamo con certezza di essere sulla strada statale 82 e quindi sul giusto itinerario per raggiungere agilmente Avezzano.
La strada comincia ad impennarsi per i monti presentando di già una vegetazione fitta e abbastanza alta. Sulla destra poi, ecco una inaspettata fontana che ci dà occasione, fermandoci un attimo insieme ad un altro automobilista, di rinfrescarci un po' e di prendere una nuova scorta d'acqua.
Ripartiti, avvistiamo poco dopo la deviazione per il castello di Balsorano, che dopo aver attraversato l'omonimo paesino, non ci lasciamo sfuggire, imboccando adesso la stradina sterrata suggerita dal relativo segnale turistico. Con qualche centinaio di metri, accediamo su una piazzetta circolare sovrastata dal grosso castello circondato da molto verde. Qui ci fermiamo. Al centro della piazza, c'è un'ampia fontana con una sorta di obelisco al centro, in cui l'Ughino cerca di nuovo refrigerio, mentre il Gianni dopo lunghi tentativi per migliorare l'inquadratura, fotografa il ben conservato castello, sui cui merli sventolano una decina di bandiere, riempiendo quindi il primo piano con la fontana, l'Ughino e con l'altrettanto valoroso 124.
Tornati sulla strada maestra, continuiamo ad ascendere raggiungendo poco dopo Civitella Roveto, dove facciamo un ennesimo rifornimento presso il locale distributore dell'Agip gestito da una donnina.
I chilometri si susseguono intanto sempre più tortuosi ma per ora non tanto in salita, lungo ogni insenatura della parete montuosa, che costituisce la metà di una lunga vallata che ci rimane sulla sinistra. Sopra di noi, sulla destra, si profila poi un elevato rilievo con la parte più alta brulla e rocciosa, che dalla carta dovrebbe essere il Monte Romanella di oltre 1700 metri.
Tra una curva e l'altra poi, avvistiamo una decina di svolte più avanti, una macchina color oro che a occhio e croce dovrebbe essere un'Opel 1700 G.T. L’Ughino si lancia allora subito all'inseguimento e in breve è sulla scia della preda odierna, facendosi applaudire dagli altri per la brillante prova offerta oggi contro addirittura una macchina di maggiori prestazioni della nostra, se non fosse che, superandole, ci vien confermato il sospetto che il nostro antagonista non si fosse impegnato affatto nella corsa, la quale difatti, come spesso succede, era stata ingaggiata solo da noi. Mentre la sorpassiamo infatti, scorgiamo al volante un fortunato signore che se ne sta spaparanzato sul sedile, col gomitino fuori dal finestrino e con una graziosa accompagnatrice accanto in tranquillo bordeggiare tra una curva e l'altra in attesa di trovare chissà quale ora.
Torniamo intanto a prendere in considerazione la faccenda del mangiare, che però risulta ancora poco attuale, visto che a nessuno finora è venuta un po' di fame, per cui, dal momento anche che di svenimenti dovuti a debolezza non se ne sono per ora registrati, decidiamo di mangiare direttamente in camping, dove dovremmo essere tra un tre quarti d'ora.
Ciò che intanto ci colpisce del paesaggio, che tra l'altro non riveste neppure un'esclusività per questi luoghi, è il succedersi di tanto in tanto sulla fiancata opposta della valle, di qualche gruppo di case immerse in una fitta vegetazione, che ci fanno appunto riflettere sulla possibilità, evidentemente però riscontrabile fra la gente che laggiù vi abita, di poter vivere così isolati e lontani chilometri e chilometri dal più attrezzato centro abitato. Risolviamo la questione attribuendo il merito di tale resistenza all'abitudine, pur non riuscendo per altro a sapere se anche noi saremmo capaci di fare altrettanto. Boh!
La strada comincia intanto a salire un po' di più per la fiancate di un ulteriore rilievo, che molto probabilmente dovremo superare. Difatti dopo esserci rivolti sulla destra, raggiungiamo il passo da cui, appena sul versante opposto, è possibile scorgere la sottostante conca del Fucino. Avezzano dovrebbe essere un po' più sotto. Lo cominciamo a vedere dopo un po', mentre la strada discendendo abbastanza rapidamente a mezzo di alcuni tornanti, ci porta in un batter d'occhio sul livello del prosciugato lago, che appare ora una immensa distesa di un verde tenue.
Entrati in Avezzano, raggiungiamo una piazzetta in cui confluiscono a raggiera parecchie altre strade. Su un lato si erge tra l'altro un castelletto piuttosto ben conservato di forma un po' bassa e tozza. Imbocchiamo come primo tentativo nella ricerca del camping, un viale, da cui però facciamo successivamente un bel giro pesca nelle limitrofe vie ci fa risbucare quindi di nuovo sulla piazzetta dopo aver avvicinato anche qualche isolato passante, che però non ci aiuta molto nel cercar di localizzare il camping, dì cui addirittura nessuno sembra anzi conoscere l'esistenza. Neppure all'interno di quel bar sull'angolo della piazza presso cui ci siamo adesso fermati un attimo, per poi imboccare un'altra ramificazione in direzione opposta, che però risulta errata pure questa, da come apprendiamo dopo qualche decina di metri da un giovanotto interpellato in proposito, il quale ci consiglia di imboccare invece la strada a lato, che dovrebbe portare, dice, dopo ulteriori deviazioni, al camping desiderato. Tornati di nuovo sulla piazzetta, prendiamo a percorrere la diramazione a fianco che come le altre si presenta ininterrottamente rettilinea fra due ali di verde offerto dai campi intensamente coltivati, che ricoprono tutta la pianura. E pensare che se dovessimo tornare indietro di appena un secolo, ci troveremmo adesso sommersi dell'acqua per qualche decina di metri, costretti magari a rammaricarci non poco per le impossibili capacità anfibie del 124.
Da un paio di cartelli indicatori sembra poi che attraverso questa strada si possa raggiungere anche Telespazio, ma per il momento ci accontenteremmo di trovare il camping.
Dato che la strada è completamente deserta, decidiamo in prossimità di una deviazione sulla strada, di raccogliere qualche informazione presso un gruppo di ragazzine accompagnate da una suora. Il Gianni ha però l'impensabile inavvedutezza di domandar loro la posizione del camping, mettendo perciò in grave e insospettato imbarazzo bambine e monaca, che sembrano non capire. Il Gianni allora ripete la domanda avendo stavolta l'accortezza di sostituite il termine anglosassone con quello più nostrano di campeggio, al che, pur capendo finalmente cosa vogliamo, sembrano rimproverarci di aver supposto la loro conoscenza dell'inglese - e di che inglese! La suora allora, mentre le bambine leggono divertite il cartello di "cercansi cuoche" affisso sulla fiancata del 124, ci consiglia di piegare subito sulla destra e di raggiungere la località Il Madonnone. Molto bene! Grazie infinite e scusate tanto.
Raggiunto così uno scalo ferroviario molto probabilmente non tanto funzionante, anzi sembra del tutto abbandonato, giriamo ad un successivo bivio sulla deviazione dì sinistra che, attraversando con un selciato piuttosto sconnesso un ombroso boschetto, ci fa però ritrovare su una seconda strada che quasi certamente è la continuazione di quella che abbiamo abbandonato poco fa. A questo punto sicché non ci resta che imboccarla di nuovo, benché del camping non si veda ancora neppure l'ombra di un picchetto. Proseguendo oltre, incontriamo sulla sinistra una macchina targata GB con il proprietario indaffarato attorno al portabagagli. Alberto si affaccia allora al finestrino e gli chiede 'n do' stia 'sto campeggio, tenendosi pronto comunque a sfoderare tutto il suo perfetto vocabolario linguistico inglese, onde far fronte all'eventuale spiegazione dell'interpellato. Con somma meraviglia però, ci sentiamo rispondere in chiarissimo italiano - si tratta evidentemente di un emigrato in vacanza -, venendo così a sapere che il camping dovrebbe esser laggiù a 200 metri, dove la strada cioè piega un pochino tornando ad avere a sinistra immense coltivazioni.
Giunti nel punto indicatoci, troviamo sulla destra in fondo ad un breve vialetto un cancello chiuso, davanti al quale, su un prato, arieggia qualche gruppo di persone e di bambini. Il fatto che non vi sia un libero accesso come eravamo abituati a trovare negli altri campeggi finora visitati, ci stupisce un po' facendoci supporre dapprima il carattere privato del luogo, che per altro è mancante di qualsiasi insegna. Siamo lì un po' indecisi sul da farsi, poi domandiamo ad alcune persone lì sedute sul prospiciente praticello a chi occorre rivolgersi. Ci viene indicata sulla stradina di dianzi una casa, che raggiungiamo a piedi immediatamente.
Dopo aver aspettato un pochino, guardati a vista da un grosso cane, siamo adesso ricevuti da una donnina proprietaria dell'appezzamento, che, conosciute le nostre intenzioni di pernottamento, si affretta a venirci ad aprire il cancello attraverso cui possiamo finalmente entrare.
Sono le 16.15.
E' senza dubbio questo un campeggio ad evidente conduzione familiare, tanto è vero che a quanto pare non esistono neppure formalità di sorta da rispettare. E' comunque piuttosto bello e per niente affollato. Ci saranno sì e no una decina di colleghi. Si stende un po' più in basso rispetto alla strada, in uno spiazzato ampio e ombreggiato da numerosi e slanciati abeti. Per scendere giù percorriamo una stradina sulla sinistra che in fondo compie un tornantino che gira attorno ad un baracchino contenente molto probabilmente i servizi.
Così è infatti.
Subito ci accorgiamo intanto che almeno per stasera il problema di trovare un buco dove poter rizzar la tenda non sussiste minimamente, per cui, data una sommaria occhiata all'insieme, ci piazziamo quasi sotto il cancello d'ingresso e vicino ad una tenda di una triplice famiglia, appartenente come può fare intuire il distintivo CC della loro macchina, ad un qualche corpo consolare.
Davanti a noi semmai, e al centro del camping, si erge una grossa costruzione biancastra da cui partono latitudinalmente alla stradina d'ingresso, due parapetti a cui subito incuriositi ci affacciamo. Di sotto scorre un canale largo una quindicina di metri che sembra poi esser convogliato sotterraneamente attraverso quel grosso casermone. Una cosa comunque è certa: quell'acqua, tutt'altro che cristallina, non può che costituire un produttivo vivaio di zanzare, moscini e velivoli affini per la gioia di qualche accanito collezionista di passaggio.
Tornati alla nostra postazione, costatiamo difatti che i nostri sospetti sull'ancora in fondo non definitiva bonifica della zona, sono tutto sommato parecchio fondati: miriadi di mosche infatti svolazzano impunite per tutto il camping, facendolo addirittura rassomigliare ad una moschea.
(…?...)
Si posano dappertutto, con preferenza però sulle cose di color bianco come il nostro 124, che sembra adesso addirittura a piccoli pois neri.
Un po' indispettiti di tutto questo ronzante traffico aereo, cerchiamo in un primo memento di colpirne qualcuna così a scopo intimidatorio, ma ci rendiamo subito conto dell'impossibilità di mandarle via.
A parte però questo fastidioso aspetto, che inoltre non è poi niente di tragico, il camping appare bellissimo, sia forse anche per l'inesistente affollamento, che per l'abbondante ombra, il verde e la pace che ci sa offrire.
Qualcuno va intanto in esplorazione dei servizi igienici, che per la verità però si presentano invece tutt'altro, in quanto nell'angolino destro di una vuota e buia stanzina esiste un unico W.C. del tipo in piedi e per altro schifosamente sporco e macchiato, quasi che chi se ne fosse servito in precedenza, non fosse dotato di quella necessaria mira che occorre avere per poter educatamente soddisfare certe esigenze fisiologiche.
Scaricato intanto il baule del 124 che abbiamo posteggiato col muso rivolto a quella breve scarpatella al di sopra della quale c'è il cancello di ingresso, approntiamo la tenda che disponiamo sulla sinistra della macchina con l'entrata rivolta verso i servizi, che tuttavia rimangono a debita distanza.
Il Gianni stende poi il suo telo verde per terra e vi si spaparanza sopra, mentre Alberto, ispirato dalla forma strana di quel masso lì vicino, ci distende sopra il proprio sacco a pelo e ci si adagia quindi in tranquilla lettura del Borghese. Arriva intanto il proprietario del campeggio, il quale, vedendo Alberto tutto intento in simili letture, non può fare a meno che congratularsi con lui, dichiarando pure di aver subito notato in lui quella tipica spigliatezza, che gli permette d'esser senz'altro un ragazzo di spiccata intelligenza. Boh! A questo punto poi, qualora risultassero ancora ingiustificati tanti inaspettati complimenti alla vista del Borghese - speriamo anzi che Alberto non si monti la testa -, ecco una breve quanto seminascoltata cronistoria che proprio adesso ci propina il nostro ciarliero padron di casa, informandoci così con nostro vivissimo gaudio della sua invidiabile carriera consumata nel ventennio italiano più famoso del secolo, con tanto di deliziose postille sulle imprese compiute di conseguenza. Dal canto suo, Alberto - gli capitano tutti a lui! - annuisce distrattamente, ripromettendosi però di buttare l'importunante seccatore nel vicino profondo canale, qualora insistesse nell'intrapresa linea di rottura oltre limiti ragionevoli. Poco dopo per fortuna se ne va.
Pensiamo intanto di metter sul fuoco qualcosa per poter mangiare un pochino, che data l'ora, quasi le 17.30, non potrà essere definito né pranzo né cena e dalla quantità che abbiamo intenzione di preparare, neppure merenda. Fatto così un inventario delle nostre vettovaglie, decidiamo di fare intanto due fili di pasta, che dopo la consueta trafila di preparativi e le solite fasi di cottura e successivo scolamento, ci vengono serviti dall'ingegnoso cuoco Alberto conditi quest'oggi con olio e parecchio tonno, risultando così al tempo stesso, oltre che come al solito abbondanti, pure saporite.
Per secondo apriamo invece le scatolette di sgombri comprate a Praia, suddividendocele così in copiosa quantità, tanto che da ultimo cominciano davvero un po' a stuccare, anche perché siamo costretti a mangiarli senza pane.
Per concludere, biascichiamo qualche formaggino, facendo così schifare una volta di più l'allergico Ughino, che ripiega perciò su qualcos'altro.
Spaparanzati sulle seggioline, ci concediamo adesso un ulteriore periodo di relax, crogiolandoci ai raggi di un caldo sole filtrato dai frascosi rami degli abeti, rimanendo comunque sempre sul chi vive per non permettere di farci saltare la mosca al naso.
Dopo un po' Alberto suggerisce di fare un giretto per il camping, ma per il momento la proposta non trova un valido appoggio negli altri, propensi piuttosto a proseguire il chilo. In un secondo tempo però anche al Gianni vien voglia di fare due passi, cosicché, in due, compiono una breve perlustrazione. Sulla destra si può salire un pochino per una gradinata, ma una volta in cima, il reticolato di cinta preclude di spingersi oltre. Continuando lungo il perimetro, discendiamo poi di nuovo, avvistando presso il casermone una roulotte di Livorno. Ancora uno sguardo al sottostante canale su cui percorriamo un ponticello che congiunge i due parapetti, e siamo di nuovo nei paraggi della tenda.
Riordiniamo allora un pochino, poi il Gianni e l'Ughino vanno a rigovernare. I lavabi, due, sono sistemati fuori del baracchino di legno dei servizi e risultano subito poco pratici perché non si sa dove appoggiare la roba. L'acqua è di una freschezza spettacolare, anche se appena fuoriuscita dal rubinetto, appare bianca e continua ad esserlo per un po'.
Tornati poi con i cocci grondanti presso la tenda, siamo interpellati da quei tre tedeschi piazzati qui vicino a noi, sulla potabilità di "cvella stcrana wasser bianca", cosicché, anche per non impelagarsi nello spiegar loro che dipende forse dalla forte pressione con cui arriva o da medicamenti - delucidazioni queste che ci avrebbero trovato del tutto impreparati dal punto di vista linguistico -, diamo loro qualche pasticca di steridrolo, che accettano subito molto volentieri, lontani forse, gli ingenui, dal supporre una nostra eventuale discendenza ebraica, che ci potesse aver spinto adesso a somministrarli subdolamente, vendicative pastiglie contenenti invece stricnina o potente cianuro.
Sono intanto le 19.00 e a questo punto che cosa ci rimane da fare, se non mettersi attorno al tavolino ed îmbastire, anche per poter far rîma, un pastoso e bel conchino? Nulla, salvo errori ed omissioni e 'un ci rompe' più …!
Le mani si susseguono una dietro l'altra, mentre, dopo qualche chiusura improvvisa del Gianni che si ritrova di tanto in tanto un.... una fortuna sfacciata, è come al solito l'Ughino che prende le redini del gioco, buttando fuori così a più riprese gli altri allibiti e scalognati avversari.
Fa intanto buio, cosicché, visto che sotto quel baldacchino alla destra del 124 è stata accesa a cura della direzione una lampadina, traslochiamo là sotto con tanto di tavolino, dal momento che quel tavolo di legno di forma circolare di cui è dotato il piccolo padiglione, è troppo alto per le nostre seggioline. E si riprende di nuovo, tutti intenti a far scale, tris e indovinati attaccamenti. Tra uno scarto e l'altro, diamo poi un'occhiata sopra il tavolo inutilizzato e lo troviamo affollatissimo di insetti: formiche, ragni, grilli, uno zoo in scala insomma. Le mosche intanto col calar del sole, sembra siano scomparse, ma, ne siamo certi, fino a domattina.
Tra una mano e l'altra, corriamo intanto alla macchina per prendere i maglioni poiché comincia a far freschino e non potrebbe fare altrirnenti, trovandoci ad oltre 600 metri di quota. Stasera poi, guarda un po', non riusciamo veramente a staccarci dalle carte e difatti solo verso le 22.30, quando cioè già qualcuno ha dato segni di avanzato turbamento psichico-fisiologico dovuto all'eccessiva somministrazione di cuori conditi a quadri e fiori con l'aggiunta di un pizzico di picche, decidiamo di smettere e di andare a letto.
Riportato il tavolino nei pressi della tenda e tirati fuori asciugamani e spazzolini da denti, facciamo uso a turno dei servizi, mentre notiamo intanto l'arrivo di una macchina con quattro giovani a bordo, che prendono posto subito quasi sotto alla toilette.
Di nuovo tutti presso la canadese, mettiamo dentro al 124 il superfluo, quando però all'improvviso il Gianni mentre sta per chiudere le portiere, annuncia di aver lasciato le chiavi nella propria valigia, che poi ha chiuso nel portabagagli. Un attimo di smarrimento, poi ci ricordiamo del mazzo di scorta, che ecco Alberto porgere al Gianni, rimediando così alla sua grave distrazione.
Finalmente siamo in tenda. Cerchiamo subito di coprirci bene - c’è chi pure si lascia i calzini - in quanto si preannuncia una notte un po’ più freddina delle altre. Poi, dopo aver fatto ancora due chiacchiere, ecco alle 23.00 profilarsi all'interno della tenda, raccolte in tre candidi fumetti, altrettante lunghe serie di Z, che dalla nostra posizione appaiono però più verosimilmente come tre pile di N.
Comunque.