16 agosto - Avezzano - Foligno

Boia che freddo! Ma che ore sono? Quasi le 7.00. Ah!
Ecco in pratica il risveglio di stamattina, che ci trova oltre che come al solito un po' insonnoliti, anche piuttosto mezzi infreddoliti. E' difatti d'opinione comune che se stanotte avessimo avuto una borsa d'acqua calda per uno, non l'avremmo certo buttata via. Il Gianni, specialmente verso la mattina, sembrava una macchina da scrivere da come batteva i denti, ma anche gli altri, benché ravvolti nei rispettivi sacchi a pelo, non hanno davvero sofferto di caldane. Tutt'altro. Il peggio comunque è passato.
Rivestiti alla svelta, usciamo di tenda e la vista del sole intenzionato ad assisterci anche oggi, ci rianima subito. Di buona lena corriamo ai servizi, smontiamo la tenda dopo aver sgonfiato i materassini e ripiegato coperte e sacchi a pelo, e ricarichiamo il tutto in 124.
I preparativi per la partenza hanno così termine stamattina alle 7.30 appena e questa mezzora soltanto impiegata oggi è da considerare senz'altro il primato di rapidità con cui siamo stati in grado di partire finora. E' ovviamente frutto della pratica; c'è da credere anzi che se dovessimo rimanere in viaggio per ancora una quindicina di giorni, riusciremmo a svegliarci e metterci in marcia nel giro di solo qualche frazione di secondo.
Il sommario e indispensabile appello dell'equipaggio, sempre al completo, ci autorizza intanto a togliere definitivamente le ancore pure da Avezzano. Un primo tentativo di accendere il motore va però inaspettatamente a vuoto. Qualche attimo di sgomento trascorso dai più maligni e pessimisti in un apprensivo guardarsi intorno alla ricerca di qualche altro fiorentino disposto a spingere, poi, ancor prima che il timore si potesse trasformare in panico, ecco il sospirato rombo d'accensione con cui il 124 risponde al secondo giro di chiavetta. Meno male. E' stato il freddo, dice il Gianni, e gli si può credere.
Fatta così un po' di retromarcia, ci immettiamo sul vialino e, compiuto il tornante attorno agli impianti igienici mentre buona parte del camping è ancora addormentata, ci fermiamo adesso davanti all'abitazione dei proprietari in attesa che qualcuno si faccia vivo per riscuotere il dovuto. Dopo un paio di minuti, ecco difatti la signora seguita dal grosso cane, che, senza ricevuta né niente, ci chiede solo un tot. Poi corre verso il cancello, che noi varchiamo in questo momento, quando son da poco passate le 7.30, con un certo dispiacere nel lasciare questo posto veramente d'incanto.
Piegati sulla sinistra, raggiungiamo di nuovo il Madonnone e ci reimmettiamo quindi sulla rettilinea strada che congiunge Telespazio con Avezzano, che raggiungiamo poco dopo. In piazza c'è pure un distributore di benzina, per cui facciamo subito un primo rifornimento, posteggiando poi lì vicino il 124, per andare a far colazione in quel bar sull'angolo dove ieri domandammo invano informazioni del camping. Ordinati i tre caffè, prendiamo in considerazione l'abbondante pasticceria piuttosto ben assortita e fresca, di cui ci colpiscono soprattutto questi invitanti bomboloni che assaggiamo subito. Riempiti di una buonissima crema, risultano straordinariamente ottimi, tanto che, dopo aver preso il caffè, effettuiamo un dolce bis, che potrebbe pure avere un seguito, se non mettessimo a freno la sollecitata gola e non venissimo via, in tempo per non portarci via vassoio e tutto.
Risaliti in macchina, imbocchiamo seguendo la scritta Rieti, un viale che dopo breve lascia Avezzano. La strada alquanto pianeggiante e soddisfacentemente rettilinea, scorre abbastanza velocemente anche per l'assenza di traffico nonostante che oggi sia domenica e per di più dopo ferragosto. Tutto sommato perciò è stata una felice scelta, anche se un po' involontaria, quella di programmare per questi giorni di gran traffico, tappe dall'itinerario interno e quindi poco battuto.
Si costeggia il Monte Velino, attraversiamo Borgorose, poi verso un quarto alle nove, siamo già in vista del lago Salto, il quarto lago di una certa importanza del nostro viaggio. Quello odierno ci appare, oltre che dalla carta anche dalla visibile costa opposta, piuttosto bislungo e non eccessivamente vasto e ci rimane per la cronaca sulla sinistra. Il sole ancora non troppo alto rende l'acqua, minimamente increspata, di un azzurro chiaro che in certi punti sfuma ancor più per quella leggera caligine sospesa sul lago. La strada che percorriamo, lo costeggia molto da vicino ed è curioso vedere come lo segua in ogni sul piccola insenatura, presentando così un tracciato che anche per successivi basso rilievi sulla destra è costretto a serpeggiare tortuosamente con continue curve e controcurve anche molto ravvicinate.
Ad un certo punto poi sembra addirittura non debba finire più. Facciamo difatti parecchi chilometri, che sembrano anche molti di più per l'infinito alternarsi di curve, ma il lago continua sempre a sembrare immobile riproponendoci per un po' di tempo identici squarci.
Di tanto in tanto attraversiamo poi qualche paesino, che si presenta spesso piuttosto attrezzato come quello che raggiungiamo in questo momento, con tanto di ristoranti, trattorie e graziose spiaggette ricavate lungo qualche insenatura, utilizzata pure come porticciolo per alcune barche ormeggiate. Non c'è però troppa animazione, anzi quasi punta. Sarà anche l'ora forse. In compenso c'è una pace idilliaca che distende.
In macchina ben presto la principale occupazione diventa quella di stare a vedere per quanti chilometri ancora debba continuare questa interminabile serie di curve, non rinunciando comunque ad osservare anche il paesaggio e qualche particolare curioso, come fa per esempio ora l'Ughino, che, letta su un muro la perentoria scritta di "W il Duce", appoggia scherzosamente la nostalgica esclamazione, sporgendo teso dal finestrino il braccio destro, non considerando magari il pericolo di essere capitati in una zona particolarmente fertile di partigiani rossi e per di più non ancora sopiti.
Tenendo intanto una rispettabile andatura, in relazione naturalmente alla strada, verso le 9.00 ecco che il lago comincia finalmente a restringersi seguendo la configurazione dei due opposti rilievi che lo cingono, fino a venire sbarrato da quella diga là in fondo che pur non presentando gigantesche dimensioni, è però in perfetta regola per poter essere benissimo definita tale. Nel raggiungerla, notiamo sulla destra incassato nella parete che appare in questo punto rocciosa, uno stretto cunicolo in cui è stata allogata una chiesetta, forse dalle dimensioni più una cappella, che è però chiusa con un cancellino. Arrivati intanto all'altezza della diga che prende il nome dal lago che delimita, seguiamo la strada che compie una curva a destra, decidendo poi però dopo una cinquantina di metri percorsi nell'incertezza sul da farsi, di osservare una breve sosta.
Raggiungiamo così a piedi il massiccio sbarramento artificiale, imboccando quindi la stradina che lo sovrasta e che va poi a congiungersi con l'altra litoranea sulla riva opposta. Ci fermiamo verso il centro della diga, da dove restiamo attratti dal vertiginoso strapiombo sull'acqua del lago, che appare adesso di un azzurro vivo accentuato dal sole che, rimanendoci proprio di fronte, inargenta le basse increspature che scintillano tremolanti dappertutto. Sulla sinistra, in basso, c'è invece una spiaggetta con qualche barca, ma anche qui come altrove con neppure un'anima in giro, salvo questa rumorosa 600 che transita ora sulla diga. Dalla parte opposta della diga, si può invece osservare l'emissario del Lago Salto che scorre insignificante attraverso la gola che di qui ha inizio. Sono le 9.15 e già fa abbastanza caldo.
Tornando indietro, notiamo, fissata alla parete rocciosa che fiancheggia la strada, una grossa lapide in cui mestosamente si ricordano le vittime perite durante la costruzione della diga. Ce n'è una dozzina e se ne possono leggere i nomi.
Tornati poi pian piano al 124, riprendiamo posto e partiamo adesso alla volta di Rieti per la quale però non è prevista alcuna sosta.
Nel giro di mezzora eccoci difatti nel capoluogo laziale, che cingiamo adesso d'intorno percorrendo la circonvallazione costeggiante pure per un tratto le vecchie mura, ed istradandoci quindi poco dopo in direzione di Terni.
Fatta una ventina di chilometri, eccoci intanto penetrare in Umbria, della quale l'Ughino si reputa un discreto conoscitore essendoci già stato più volte.
Prima di raggiungere Terni è intanto in programma la doverosa visita alla cascata delle Marmore, che da fievoli reminiscenze scolastiche in materia, dovrebbero scaturire dal fiume Velino in procinto di buttarsi impetuosamente nella Nera. Seguito allora qualche segnale turistico relativo al famoso salto d'acque umbro sfruttato oltre che dal punto di vista industriale pure da quello turistico, imbocchiamo una deviazione sulla destra ritrovandoci in breve su uno spiazzato sterrato adibito al parcheggio delle auto dei signori turisti, molti dei quali hanno già preso piede.
Indirizzatici anche dal posteggiatore tutto indaffarato nel far sistemare la gente nel più razionale modo possibile, lasciamo il 124 sulla destra col muso rivolto ad un boschetto, le cui ultime propaggini ombrose ci fanno sperare di poter ritrovare la macchina abbastanza fresca. Sì perché, come si è accennato prima, fa già un caldo da scoppiare: e son soltanto le 10.25, che tenuto conto dell'ora legale, diventano addirittura le 9.30.
Con la macchina fotografica al collo e in tenuta abbastanza semicoloniale, ci incamminiamo verso il fondo del piazzale, scendendo quindi sulla destra qualche scalino, che ci immette su una stretta stradina in cemento intercalata ogni tanto da scalini ora a dritta ora a manca e fiancheggiata da alcune bancherelle smercianti souvenir, diapositive del luogo ed altre cianfrusaglie affini. C'è piuttosta gente.
La stradina alla fine termina con una specie di terrazza sporgente sul vuoto, da cui è possibile godere il suggestivo continuo rovesciarsi del Velino, che ci rimane ad una certa distanza sulla destra. L'acqua comincia a cadere già spumeggiante e bianchissima da alcune decine di metri sopra di noi. La postazione perciò, trovandosi quasi nella fascia intermedia della cascata, permette un'ampia veduta dell'impetuoso e spettacolare salto d'acqua, il cui punto d'arrivo però è reso invisibile da folte frasche, che costituiscono comunque un'apprezzata ininterrotta cornice di verde a tutto l'insieme. L'immagine è magistralmente commentata dall'incessante rumoroso tonfo dell'acqua, che per la continuità con cui va giù a capofitto, sembra che resti immobile durante la caduta.
Scattata a turno con numerose altre persone l'immancabile foto cercando sulla torretta provvidenzialmente coperta la migliore posizione di veduta, torniamo indietro e dopo esserci soffermati ad osservare la merce esposta su una bancherella, seguiamo l'Ughino che sembra conoscere la strada per poter vedere la cascata anche al momento dell'impatto col suolo, a circa cioè un centinaio di metri più in basso. Imbocchiamo così un viottolo sulla destra che scende rapidamente ora sfruttando scalini ricavati nella roccia, ora proponendo scoscesi e impervi pendii. Nel primo tratto, alla nostra sinistra, siamo poi accompagnati da un piccolo rivolo d'acqua, che veloce, chiacchierante e limpidissimo scorre entro un tortuoso canaletto ricavato dalla continua erosione nella roccia. Poi il terreno diventa sempre più umido e impregnato d'acqua presentando di tanto in tento anche qualche larga pozza o addirittura passaggi obbligati al dì sotto di piccoli antri costantemente grondanti, per il cui superamento siamo costretti ad esibirci in buffi saltelli onde evitare d'impantanarsi e pure a cercare di riparare le macchine fotografiche dai continui stillicidi. La roccia, specie sotto questi brevi cunicoli, assume un insolito aspetto stranamente sforacchiato, che come queste numerose minuscole stalattiti sono frutto del perenne sgocciolio dell'acqua. Tutt'intorno, il pendio è coperto da vegetazione non troppo alta ma piuttosto fitta, mentre quel che ci stupisce un pochino è semmai il fatto di essere i soli a percorrere questo ripido viottolo; tanto che qualcuno non può fare a meno di mettere in dubbio l'indicazione dell'Ughíno con la speranza comunque che nel portarci quaggiù non si sia sbagliato col fischio del treno o peggio con la salita di Fiesole.
Procedendo sempre più in giù, raggiungiamo alla fine il fondo valle, che è piuttosto pianeggiante e coperto in gran parte da alta sterpaglia bruciata dal sole, il quale nel frattempo, dopo la discesa compiuta all'ombra, torna a farsi malamente sopportare. Il sentiero corre adesso nel mezzo di questa bassa macchia e si presenta per fortuna abbastanza battuto. Ad un certo punto poi, ecco raggiungere un bivio di cui l'Ughino ci fa imboccare la deviazione di destra, che pur riportandoci leggermente indietro, dovrebbe dirigersi verso la cascata.
Qualche pozza più profonda che occupa tutta la carreggiata del sentiero ed il fatto che si continui a sentire solo un ravvicinato rumore d'acqua, fa riflettere qualcuno in merito alla convenienza di proseguire e giungere a ritenere magari più opportuno un rapido dietro front. Dal momento però che aver fatto un sacco di strada invano ci scoccerebbe non poco, insistiamo nella nostra escursione.
Difatti ecco poco dopo la sospirata acqua. Ci ritroviamo infatti dopo qualche acrobazia per evitare di finirvi dentro, sulla sinistra della Nera, che dopo aver compiuto quel salto di 160 e rotti metri che abbiamo visto dianzi, scorre adesso verso il basso a velocità impressionante tra due ali di fitta vegetazione. Il corso d'acqua non è molto largo, solo un tre metri, e questo ci fa supporre che si tratti solo di una ramificazione del fiume principale.
Impossibilitati poi a proseguire controcorrente nel tentativo di raggiungere il fondo della cascata senza ridursi ad immergersi nell'acqua - la corrente ci darebbe comunque del filo da torcere -, ci accontentiamo di scattare una foto per ciascuno rispettivamente a monte e a valle dell'impetuosissimo turbine d'acque, poi decidiamo di tornare indietro.
Ritrovato il sentierino dopo qualche mezzo scivolone sui sassi bagnati che affiorano sull'argine al pelo dell'acqua, ci reimmettiamo sul viottolo maestro, mentre guardando di nuovo laggiù nel sottostante fondovalle dove scorre una strada e c'è pure una fabbrica, programmiamo semmai di raggiungere dopo quella postazione, da cui si dovrebbe vedere finalmente dal di sotto in su la cascata delle Marmore.
Il problema comunque che in questo momento ci assilla è però di tutt'altra natura, dovendo adesso ripercorrere il ripido pendio per poter tornare su. Il caldo ci spezza le gambe fin dall'inizio per cui è una vera sofferenza arrancare su questo impervio sentiero.
Il Gianni è in testa, poi vien l'Ughino, mentre Alberto, in terza posizione, procede con un certo preoccupante fiatone, tanto che ad un certo punto, sfinito, si ferma.
Gli altri continuano invece a salire e - incoscenti! - pure ad una discreta andatura, senza per altro curarsi del vacillante Alberto, in quanto, dicon loro, perderebbero il passo non riuscendo poi più a muovere le gambe una volta fermatisi.
Alberto intanto distaccato di parecchie decine di metri è sotto ad una violenta crisi di stanchezza, si domanda, lanciando qualche irriferibile commento, perché mai quei dannati, che forse magari non si sono neppure resi bene conto del suo stato, vadan su come razzi senza nemmeno aspettarlo. Boh!
Intanto, mentre Alberto sta riprendendo fiato e ricomincia di nuovo a salire, gli altri due quasi giunti in cima, si fermano finalmente e dopo qualche minuto di attesa, hanno finalmente il buon senso di preoccuparsi del ritardo di Alberto, decidendo così di scendere un pochino per vedere cosa diavolo gli sia successo. In quel mentre ecco il ricongiungimento.
Boia che fatica!
Tornati sulla stradina di cemento dopo un'ulteriore occhiata alla cascata, la ripercorriamo a ritroso salendo ancora sette o otto scalini e ritrovandosi quindi sul piazzale di parcheggio, mentre tutti sudati e stanchi da morire, stentiamo a parlare se non per lanciare qualche maledizione volante di sfogo.
Raggiungiamo il 124 e qui qualcuno è costretto addirittura a ricorrere all'asciugamano che è nel portabagagli per potersi tergere un po' il sudore. Spossati, ci sediamo poi in macchina non trovando per altro nemmeno un ambientino ben refrigerato; pagato quindi l'omino, sempre attento a chi ha l'aria di andarsene via senza aver dato al posteggiatore quel che è del posteggiatore, analogamente a ciò che è bene dare a Cesare se è di sua competenza, ci muoviamo. Sono le 11.15.
Col tassativo ordine di stroncare sul nascere qualsiasi insidioso spiffero, torniamo sulla statale piegando a destra in direzione di Terni. La strada compie alcuni tornanti su un caseggiato dai tetti stranamente grigiastri, resi forse tali dalla fuliggine di cui anche l'aria è irrespirabilmente impregnata, poi scende verso il basso.
Mentre sopprimiamo di comune accordo l'accennata capatina nel fondovalle ventilata dianzi, procediamo ad andatura lentissima anche per un codazzo di macchine formatosi nel frattempo.
Il tempo di ghiacciarsi il sudore, ed eccoci a Terni. Attraversiamo in fretta la città superando tra l’altro un ponticello, poi, dopo breve, raccolta qualche informazione, vi usciamo in direzione di Foligno, dove stanotte pernotteremo.
La strada che imbocchiamo adesso è una specie di superstrada, molto panoramica, che con frequenti rettilinei ed ampie curve, inviterebbe alla velocità se non fosse per gli ammonitori quanto spesso e volentieri alquanto inutili segnali di limite di velocità fissato in ridicoli 50 chilometri orari, che il Gianni solo con una certa buona volontà cerca di rispettare, scivolando però ogni tanto su una decina di chilometri orari in più. Ci serve come distensiva passeggiata comunque, in quanto nessuna urgenza a questo punto ci attanaglia, dal momento che nel giro di circa quaranta chilometri dovremmo arrivare all'odierno camping.
Il diario turistico prevede nel frattempo la visita delle Fonti del Clitumno, note soprattutto per esser state citate a suo tempo da un certo e non meglio identificato Carducci, piuttosto che per l'importanza che possano rivestire.
La nostra marcia procede intanto speditamente, rispettando difatti un’unica sosta in vista di Spoleto, che per fotografarne il panorama, ci suggerisce una breve fermata sulla corsia d'emergenza di questa attrezzatissima arteria, permettendo pure ad Alberto di sostituire il rullino già esposto con una pellicola a bianco e nero che si era portato di scorta da casa. Si riparte.
A mezzogiorno passato, cominciamo intanto ad avvistare le prime segnalazioni turistiche che preannunciano il Tempio di Clitumno, che subito ci immaginiamo debba coincidere in qualche modo con le fonti che andiamo cercando.
Dopo breve, su un largo rettilineo, ecco poi un successivo cartello che ci posiziona alla fine sulla sinistra il rudere di turno. Attraversate così con una certa circospezione la superstrada che per altro non presenta neppure un gran traffico, e posteggiato il 124 in una rientranza della carreggiata opposta, ci dirigiamo adesso con le macchine fotografiche al collo e ancora di nuovo mezzi ignudi per il caldo che continua a tormentarci, verso un muretto rifinito da una lunga inferriata e interrotto in quel punto da un cancellino, che troviamo però chiuso. Al di là, un po' inclinata, si stende una verdeggiante distesa che presenta qui vicino all’inferriata una piccola costruzione che forse è dimora del portiere.
Siamo a questo punto dell'idea di farci aprire, ma poi improvvisamente, quantunque il campanello a fianco del cancellino ci autorizzasse in qualche modo ad importunare il custode, decidiamo di rinunciarvi, non facendone perciò dì nulla.
Torniamo quindi in 124, quando, mentre stiamo per imboccare la strada, ci colpisce un cartello visibile solo da quest'altra corsia, che segnala le Fonti del Clitumno a due o trecento metri più indietro, in direzione di Terni.
Compiuto così il breve tragitto, entriamo in uno spiazzato laterale dove c'è pure qualche costruzione, che prima, passando dalla parte opposta, non ci era evidentemente dato nell'occhio. Posteggiato a questo punto la macchina nell'apposita lisca di pesce verniciata in terra, c'incamminiamo adesso verso il cancellino d'ingresso, dove il custode c'invita però a munirsi del biglietto d'ingresso ritirabile presso un attiguo locale piuttosto buio, dove una signorina ci favorisce tre biglietti senza pretendere nemmeno il supposto corrispettivo. Una pro-forma evidentemente.
Varcato il cancellino, ci vien raccomandato dal custode di fare una cosina di giorno in quanto per le 12.30 è prevista la chiusura del giardino. Molto bene.
Ecco presentarci intanto davanti a noi, scendendo qualche scalino, la pacifica visione delle sospirate fonti del Clitumno, costituite da un laghetto di forma irregolare, dall'acqua però limpidissima. Il lago infatti, che dal punto di vista geologico presenta quella particolare categoria di sorgenti chiamate per affioramento, viene alimentato da fonti subacquee. Attraversiamo intanto un ponticello che ci fa accedere sull'isolotto centrale. Osservando l'acqua di rara limpidezza, possiamo difatti individuare, grazie anche alla modesta profondità, gli antri sommersi da dove molto probabilmente sgorga l'acqua, che fuoriesce così completamente filtrata e chiara. Il luogo è veramente idilliaco: il verde offerto da molte piante fra cui alcuni coreografici salici piangenti, si rispecchia nell'acqua, facendo sì che il tutto appaia di un verde omogeneo, in cui, armonicamente inquadrato nella quiete del paesaggio, s'inserisce un gruppo di maestosi cigni di cui un paio color avena, che nuotando pacificamente in lungo e in largo, si esibiscono pure di tanto in tanto in improvvise immersioni del collo, che poi di nuovo eretto, torna a conferir loro quel tipico portamento che ha del solenne. Alcuni si avvicinano poi alla sponda e quindi stuzzicati dai visitatori più intraprendenti nel giocherellare con loro, ingaggiano uno scherzoso duello a forza di stizzite beccate.
Scattiamo un paio di foto, poi torniamo indietro impegnando di nuovo la stretta asse che unisce a mo' di ponte l'isolotto con la terraferma, quindi data un'ulteriore occhiata al pacifico scenario, usciamo.
Sono le 12.40.
Risaliti in macchina, togliamo di nuovo gli ormeggi.
Ancora sulla veloce statale n. 3, percorriamo un'altra ventina di chilometri e raggiungiamo quindi lo svincolo di Foligno, che superiamo però per seguire invece i frequenti segnali di campeggio, che già ci accompagnano e che di lì a poco ci fanno adesso imboccare sulla destra uno stretto vialíno, in fondo al quale ecco delinearsi l'insegna del campeggio di oggi: il Camping Umbro. L'ingresso che ci rimane alla nostra destra è proprio nel punto in cui la strada compie una curva a manca costeggiando quindi per qualche decina di metri il lato più corto del campeggio stesso.
Sono ormai le 13.00 quando varchiamo il cancello, evidenziato da bandierine internazionali, fermandoci poi in attesa che qualcuno si faccia vivo per le consuete pratiche burocratiche da sbrigare. Sulla destra c'è una costruzione, forse la direzione, mentre il camping, non eccessivamente ampio, si stende su un verde prato forse mal ombreggiato, ma comunque ottimo se si considera l'assoluta assenza di affollamento: solo qualche tenda piantata qua e là. Alberto scende intanto e va alla ricerca di qualcuno. Trova una donnina che gli comunica che il proprietario è uscito, ma che comunque possiamo prender piede ugualmente. O.K.
Facciamo in macchina allora un giro di ricognizione lungo i vialini interni e scegliamo poi alla fine il punto che ci sembra più ombreggiato, vale a dire quell'angolo laggiù a sinistra entrando, dove è possibile sfruttare l'ombra somministrata a sufficienza dagli alberi del viale, che rimane separato dal campeggio grazie ad una rassicurante rete metallica.
In quattr’e quattr'otto e con l'ingresso rivolto al viale, alziamo intanto la tenda sul prato, mentre il 124 vien parcheggiato col muso verso la direzione e sulla stradina interna che corre parallela al limitrofo viale.
Vista intanto l'ora che abbiamo fatto, ci preoccupiamo subito di mettere qualcosa sotto i denti predisponendo così il nostro reparto pranzo dietro il 124 dove sistemiamo tavolino e seggioline, nonché l'immancabile fornellino, prontissimo anche oggi a prepararci forse le ultime pastasciutte del viaggio. Alberto intanto, tolto dal bagagliaio il contenitore di plastica delle masserizie e lo scatolone della pasta incredibilmente scemato rispetto a nove giorni fa, presenta un rapido inventario dei residui viveri disponibili, decidendo quindi di preparare un decente manicaretto in modo anche da poter dar fondo al maggior numero possibile di riserve.
Verso le 14.00, il pranzo è sertito. Risulta articolato per quanto concerne il primo dalle consuete pastasciutte al burro, il quale burro però, analogamente a ieri, viene sostituito dall’olio a cui è aggiunto pure di nuovo un po' di tonno, che rende così abbastanza sostanziosa l'arrangiata pietanza. Come secondo, Alberto ci serve invece cucinato nella mai usata teglia, uno sformato di carne in scatola ingegnosamente sposata con i piselli pure in scatola, per il cui trattamento però l'Ughino sembra abbia da contestare qualcosa presso il cuoco ufficiale, dando immediatamente alito ad una vivace discussione, che, manca poco, non ci fa andar di fogo il pranzo.
La disputa si placa per fortuna poco dopo, in tempo per concludere il pranzo tutto sommato ben riuscito, con il risolutore formaggino.
Ovvia! Fatta anche questa! E ora? Alberto propone di continuare la chilometrica partita a conchino di ieri sera. Qualcuno ha però poca voglia. Si comincia comunque a distribuire le carte e a macinare le prime mani. Sono le 14.45.
Dando intanto un'occhiata attorno, notiamo sull'altro lato del vialetto all'altezza dell'ingresso del camping, un localino frequentato per lo più da ragazzi e vecchietti e dotato anche di un campo di bocce.
Sul vialino che abbiamo proprio qui a due passi, c'è invece un continuo andirivieni di giovani e ragazze - due di loro anzi in motorino sono a passarci di fronte ogni momento -, i quali hanno probabilmente come centro di attrazione un qualche altro locale al di là di quel terrapieno che delimita il campeggio e da dove provengono pure frequenti spari. Il Gianni cerca di scrutare in quella direzione salendo più in alto possibile vicino alla rete di cinta, ma non riesce a vedere niente. E' indubbio comunque che si tratti tra l'altro di un poligono di tiro.
Beh, comunque: a chi stanno le carte?
Ancora a me?!? Io 'un ho più voglia!
Dopo una mezzora sicché ecco così che qualcuno, sfatto da tante partite accumulate in questi ultimi giorni, comincia a boicottare il gioco finendo per far smettere anche gli altri, per cercar di escogitare qualche altra occupazione. Sono appena passate le 15.30 e non sappiamo difatti che cosa fare.
C'è già comunque qualcuno, il Gianni per esempio, che sembra abbia trovato qualcosa di gradevole in cui rifugiarsi, visto che si è appena spaparanzato al fresco sul materassino quasi lì sotto alla coda del 124. A un certo punto anzi, gli vien da notare che quella sbarra lì che unisce le due ruote posteriori appare stranamente storta rispetto alla simmetria della macchina e neppure la consulenza più esperta dell'Ughino gli è di gran conforto nel cercare di spiegare il curioso dilemma. Per poter svelare il mistero ancor più infittito dalla posizione di un'analoga sbarra dell'avantreno ma correttamente disposta, son costretti alla fine a ricorrere al manuale di istruzioni della Fìat, dalle cui illustrazioni veniamo così a sapere - se ne impara sempre una nuova! -, che la sistemazione della sbarra in questione è assolutamente normale, dal momento che per sue particolari ragioni questo stabilizzatore del retrotreno deve stare così.
Come non detto sicché.
Stando però così a bocconi sotto il 124, ci accorgiamo pure che la ruota posteriore destra è terribilmente liscia, tanto che per poter sapere quale disegno aveva primordialmente il battistrada, occorrerebbe ripiegare esclusìvamente sulla pur non sempre raccomandabile memoria. Decidiamo subito di sostituirla con quella di scorta e il gioco in due minuti è fatto. Meno male però che abbiamo avuto occasione di guardarci. Il 124 d'altra parte, forse oppresso da una mostruosa timidezza, si vergogna sempre di dire quando sta poco bene. Dovrebbe avvertire invece.
Tanto per trascorrere un po' di tempo, rigoverniamo qualche coccio presso la fontana in mezzo al prato, mentre poco dopo, preso a turno il rotolo di carta increspata ormai abbastanza ridotto nel suo spessore, facciamo uso dei servizi che si trovano al piano terra della costruzione direzionale. Sono piuttosto bene attrezzati e finalmente puliti, tanto che inviterebbero a schiacciarci un pisolino nella più cogitabonda posizione.
Di nuovo tutti insieme, molto più leggeri, decidiamo di uscire di campeggio per andare a telefonare, poiché, non dobbiamo dimenticarcelo, oggi è d'obbligo il terzo appuntamento verbale con i nostri.
Mentre così in 124 ripercorriamo il vialetto e attraversata la statale n. 3, entriamo attraverso lo svincolo in Foligno, sorge il problema di come contenersi nel comunicare a casa la posizione in cui ci troviamo adesso. E' indubbio desiderio comune di fare la grossa sorpresa di tornare con due giorni di anticipo, ma d'altra parte ci secca farci credere ancora a Napoli, dal momento che se succedesse qualcosa di grave da quelle parti, metteremmo automaticamente in ansia e senza motivo una trentina di persone tra Firenze, Sesto Fiorentino e Castglioncello. Decidiamo allora di non comunicare alcuna posizione, limitandoci quindi a rassicurarli che tutto procede bene, come nella realtà in fondo può essere riscontrato.
Scesi lungo una specie di cavalcavia che proviene dalla statale, pieghiamo a sinistra su un viale e al primo bar esponente il caratteristico disco telefonico giallo, ci fermiamo. Entrati nel locale, il gestore ci informa che per Firenze da qui non esiste teleselezione e che inoltre, siccome ci sarebbe d'aspettare un'oretta per mettersi in linea, lui non sarebbe troppo disposto a perder del tempo così, per cui ci invita a rivolgerci altrove. Né più né meno sicché quel che ci successe a Marina di Castellaneta al primo tentativo di telefonata. E' un bel sistema però!
Percorsi però altri duecento metri lungo lo stesso viale, avvistiamo sul lato opposto un secondo bar presso cui parcheggiamo il 124 in una rientranza all'ombra e come al solito ben chiuso. Sono le 18.15.
Informato il barista della nostra necessità di telefonare a Firenze, ci fa sapere che è possibile mettersi in comunicazione direttamente a mezzo della teleselezione, la quale solo da poco ed anche se non ancora ufficialmente è stata istituita fra le due città. Molto bene. L'Ughino sicché, rifornitosi di una manciata di gettoni, si chiude nell'unica gabina a sinistra della porta entrando, riuscendo così a sentire di lì a pochi istanti la voce di sua madre.
Alberto e il Gianni ordinano intanto tre birre e vanno a sedersi ad uno dei tavolini sistemati fuori su una piattaforma leggermente rialzata rispetto al piano stradale.
Riattaccato il ricevitore, l'Ughino racconta lo sforzo con cui è riuscito e non spifferare niente, anche se, dice, forse sua madre ha mangiato un po' la foglia, intuendo così la nostra vicinanza.
Il Gianni intanto ha già ordinato la telefonata con Castiglioncello, per la quale sperare nella teleselezione è ovviamente ridicolo.
Sorseggiamo al sole i tre quotidiani boccali di birra, quest'oggi in bilico su un traballante tavolino, quindi il barista chiama il Gianni per l'imminente comunicazione desiderata. La conversazione anche per lui riesce non poco faticosa per cercar di non rivelare la nostra posizione, ricorrendo a far sembrare a chi lo ascolta, sua sorella, che la telefonata sia fortemente disturbata. Ciò gli permette così di eludere le più ficcanti domande in merito.
Trascorsa ancora una decina di minuti, paghiamo al barman il conto complessivo e, ringraziatolo, usciamo.
Ripercorriamo lentamente il viale e torniamo sulla statale, che attraversiamo di nuovo in questo momento per riguadagnare attraverso il successivo vialetto il Camping Umbro.
Giunti in prossimità del cancello, ci vien voglia di andare a vedere quel presunto poligono di tiro, di cui dianzi supponevamo l'esistenza, ma una volta arrivati poco più in là della fine del campeggio stesso, un'accentuata cunetta ci fa rinunciare a proseguire, onde non scassare la macchina più del dovuto. Torniamo così in retromarcia all'altezza del cancello del campeggio in cui rientriamo adesso, quando sono ormai le 19.00.
Trascorriamo la successiva ora e mezza senza una precisa e specifica occupazione, poi verso le 20.30, cominciamo e pensare alla cena che sbrighiamo molto velocemente con la consueta tazza di thè e un paio di formaggini.
Decidiamo poi di passare il dopo cena al bar del campeggio allogato al primo piano della costruzione direzionale e raggiungibile a mezzo di una scala esterna. Il locale non è molto attrezzato ed è frequentato a occhio e croce per lo più da persone del luogo. Sulla sinistra entrando, dalla parte dei calcini, si apre una terrazza con qualche tavolino, dove, mentre già si è fatto buio, ci sediamo servendoci come dessert alla fugace cena chi un gelato, chi una bibita. Ci siamo portati semmai dietro anche le carte, ma a nessuno va di riprendere a giocare. Ci limitiamo difatti a fare qualche casina, puntualmente però rasa al suolo dalla minima vibrazione del tavolino oppure dalla manata dell'incorreggibile maligno.
Dopo breve decidiamo di andare a dormire. Rìscendiamo la scala e, mentre proprio di fronte a noi si staglia nel cielo una grossissima e bianca luna, ripercorriamo la stradina interna che costeggia il prato in cui già comincia a farsi apprezzare nelle varie gradazioni dì tono un accordato concerto di grilli e musicisti affini da strapazzo. Sbrigate poi le ultime faccende serali comprese le personali raschiature a base di dentifricio e tutte quelle altre lavature varie, che ormai preludono a quel fantastico bagno che faremo domani a casa, alle 21.45 siamo già tutti e tre in tenda.
Cerchiamo semmai di partire prestino domattina, in modo da essere a Firenze per l'ora di pranzo.