8 agosto - Firenze – Lido di Anzio

 
La partenza, programmata tra le 6.30 e le 7.00, è abbastanza rispettata nell’orario, visto che il ritardo rientra in limiti accettabilissimi: solo una decina di minuti.
Alle 7.12 infatti, prende il via da Via Pisana il Raid dei ragionieri, imperniato su una vasta escursione della Basilicata e su marginali infiltrazioni in Puglia e Calabria, che è sperabile possa rientrare nella categoria dei viaggi di andata e ritorno, previsto – quest’ultimo, nella nostra fattispecie – per il 19 agosto. Il contachilometri del 124 ne conta appena 20.408; fra dodici giorni, ne conterà molti di più.
La prospettiva ci entusiasma e così senza mettere ulteriore tempo in mezzo, il Gianni preme il piede sull’acceleratore e imbocca la Via Senese. Raggiungiamo in breve il Galluzzo e quindi l’imbocco della Superstrada Firenze-Siena, preferita di comune accordo alla non più comoda e veloce Autostrada del Sole per semplici ma determinanti motivi economici. Raggiungiamo Siena in un batter d’occhio e ci buttiamo sulla vecchia Cassia incontrando dopo qualche chilometro un fitto e inaspettato banco di nebbia, che, avvolgendoci per un bel pezzo, ci butta un po’ giù di morale.
Che il tempo non si sarebbe potuto mantenere bello per tutto il viaggio, era pacifico, ma che dovessimo provare subito le sue bizzarrie non ce l’aspettavamo davvero! Qualche commento poco ortodosso in proposito, ma si va avanti.
E difatti, ma certo non dopo breve, torna il sole e con lui anche l’allegria.
Non ci sembra infatti ancora vero di essere in viaggio, dopo tanti precedenti intralci e con un programma così intenso e interessante di fronte. Del resto solo una ventina di giorni fa, il viaggio, oltre ad essere abbastanza in alto mare dal punto di vista tecnico e organizzativo, era ritenuto anche piuttosto utopistico parlarne, a causa dell’azione psicologica a cui eravamo sottoposti dal torchio impietoso dell’esame ancora da superare.
Dopo due ore di marcia, alle 9.10, l’Ughino prende il volante, mentre il Gianni si rifocilla un po’ con un’arancia sbrodolandosi però vergognosamente.
Costeggiato il Monte Amiata – eccolo là sulla destra – attraversiamo Acquapendente, centro dell’abituale ritiro pre-campionato della Fiorentina, e, guidati da un cicerone d’eccezione, Alberto, praticissimo del luogo, verso le 10.00 entriamo in Bolsena. L’omonimo lago ci era apparso poco prima all’improvviso, sfumato da una leggera caligine, in cima ad una breve salitella, al termine della quale la strada piegava repentinamente a sinistra cominciando a costeggiare il litorale.
Posteggiamo il 124 presso il lago e ci assicuriamo diligentemente e prudentemente che tutto sia ben chiuso e che siano con noi, oltre al consueto mazzo di chiavi, le altre tre preziose chiavi, che, per evitare inaguarabili scassi delle portiere, vengono tenute costantemente al collo di Alberto.
Con l’aria di interessati turisti, prendiamo visione del lago, per la verità niente male, percorrendo un moletto, dove c’è chi pesca, ma, visti i magri risultati, non con eccessiva fortuna, e chi invece, molto più ammirato, specie se trattasi di una bella ragazza in bikini rosa, prende placidamente il sole a due passi da noi, che, dopo esserci ben guardati attorno, i due passi li facciamo, si però, ahimè, in direzione del 124.
Si scatta qualche foto, quindi di nuovo tutti a bordo per seguire un’indicazione di Alberto per la verità non tanto precisa, che ci conduce, dopo aver imboccato erroneamente una strada in salita, alla chiesa di S. Cristina. E’ qui che ebbe luogo qualche secolo fa davanti a un centinaio di spettatori, il famoso miracolo dell’ostia grondante di sangue, che sbigottì non poco l’incredulo prete, grazie però ai cui dubbi, la chiesa può adesso godere una certa fama. Non solo; ma la costruzione ha ancor più del prodigioso, se si pensa che nell’interno di un’adiacente cappella – una vera e propria cella frigorifera del tipo esquimese, dal freddo boia che costantemente vi regna per il fatto di essere incassata proprio sotto la collina – si può osservare, oltre a numerose tombe, di cui parte in corso di restauro, quella di S. Cristina e un tempietto dove è conservata una pietra su cui son ben visibili le orme della santa.
Usciamo dalla chiesa e, dopo aver fugato un’insana tentazione di far merenda a base di porchetta da parte di due elementi dell’equipaggio, alle 10,45 riprendiamo il cammino.
Si passa per Montefiascone e Viterbo per poi soffermarci a scattare qualche foto al lago di Vico, che si stende alla nostra destra in fondo ad una vasta piana assolata. La sosta però non è altro che il pretesto per soddisfare quei bisogni, che generalmente e molto forbitamente si suole definire fisiologici. I primi del Raid!
Il traffico si dimostra per ora piuttosto scarso e, dov’è presente, abbastanza veloce, costituito prevalentemente da auto di turisti, di cui molte straniere, come quell’850 belga con a bordo due bionde a prima vista avvenenti, ma che, dopo un sorpasso di accertamento, si rivelano non poco racchie e ispiranti sentimenti di precipitosa fuga.
A mezzogiorno intanto lo stomaco comincia a dare segni di impazienza, cosicché ci sembra opportuno fare la spesa, che per l’occasione viene effettuata dal Gianni in una piazza di Ronciglione: pane, burro, formaggio grattugiato, acqua minerale.
E si riparte. La radio trasmette il Corriere dell’Umbria, anche se siamo di già in Lazio, e il fatto ci stupisce; poi è la volta di Alto Gradimento, che ci accompagna fin sul raccordo anulare a qualche chilometro da Roma con tante canzoni e, tra l’altro, gli esilaranti consigli e raccomandazioni per gli automobilisti offerti con rara sadicità da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni.
Compiamo rapidamente in senso antiorario l’anello autostradale che cinge la capitale, ritrovandosi di lì a poco a Sud di Roma, mentre si dimostra opportuna e necessaria un’occhiata alla carta, dal momento che a questo punto, se vogliamo proseguire ancora il viaggio, non è più consigliabile adagiarsi sul detto più o meno veritiero che vuole tutte le strade conducenti a Roma. Ma per quanti sforzi a turno si compia, non riusciamo a capirci niente. E’ d’uopo  sicché l’informazione di prammatica, che per motivi di sicurezza preferiamo prendere da un militare in attesa lì sul marciapiede destro in prossimità di un incrocio. Chiediamo da che parte si va per Anzio, ma la desiderata informazione viene sostituita in un primo momento da una proposta del milite, per altro ignoto, che ha del ricatto: lui la strada la conosce, ma se non gli diamo un passaggio, lui non ce la insegna. Costretti ad accettare il compromesso venutosi a presentare, ospitiamo l’aviere di dietro accanto ad Alberto, che, oltre a rimanere abbastanza deluso sull’indesiderato genere, o meglio sesso, del nostro primo autostoppista, gli tocca a tenere pure il tavolino sulle ginocchia, ce altrimenti non troverebbe posto sull’affollato sedile posteriore. L’informazione però ci è preziosa e quindi tutto sommato ne vale la pena.
Dopo breve, percorrendo un tratto di autostrada alberato, il militare, piuttosto chiacchierone anche se cordiale, ci fa piegare su una deviazione verso destra comunicando però l’imminente svincolo quando stiamo viaggiando sulla corsia di sorpasso, costringendo l’Ughino ad una poco disciplinata manovra nel traffico diventato nel frattempo piuttosto intenso. Procedendo quindi in direzione di Albano Laziale, scarichiamo poco dopo l’aviere presso la caserma di appartenenza, continuando per la strada insegnataci, mentre cominciamo un po’ a preoccuparci per le eventuali reazioni dei nostri rispettivi stomachi, tuttora digiuni nonostante siano prossime le 14.00. Visto e considerato però che ormai siamo a due passi dalla meta, decidiamo di pranzare direttamente in camping, riducendosi così a coprire tutti in un botto i chilometri della prima tappa.
Facciamo benzina, poi, dopo essere passati davanti al cimitero americano, entriamo in Anzio con l’illusoria speranza di trovare dietro l’angolo il desiderato camping. Dalle numerose informazioni che l’impazienza e ormai anche la gran fame ci costringono a richiedere frequentemente agli indigeni, veniamo invece a sapere che il camping verso cui siamo diretti, non è in Anzio, ma cinque chilometri più a Nord in località Lido di Anzio.
La miseria!
Lasciato il lungomare, percorriamo allora, tra un gorgoglio di stomaco e l’altro, un lungo viale di pini, sulla cui sinistra, verso il mare, si stende una vasta e ombrosa pineta. La fame intanto si fa sempre più sentire cominciando già evidentemente ad intaccare i nostri riflessi, tanto che a momenti non ci accorgiamo neppure dell’ingresso del campeggio proseguendo così ancora per un centinaio di metri, finché qualcuno, a scoppio ritardato, non lo avvista. Tornati indietro ci presentiamo al cancello, dove l’accoglienza del custode ci stupisce non poco disorientandoci per il modo, non certo fra i più educati e gentili, con cui ci domanda che cosa vogliamo e, alla pavida e timida risposta dell’Ughino di voler pernottare una notte – una sola, eh! – se abbiamo la tenda con noi. L’approccio con il mondo dei camping è così per lo meno disastroso, ma la necessità ci consiglia di servirsene ugualmente, entrando così non appena, finalmente, il guardiano si leva dai tre tradizionali tre passi.
Fatti un duecento metri lungo il vialetto rettilineo ed asfaltato, è d’obbligo un’ulteriore sosta presso il casottino della direzione posto a sinistra, per il normale disbrigo delle pratiche: consegna delle carte d’identità, presa conoscenza della nostra presenza da parte della direzione, ecc.; quindi facciamo il nostro ingresso ufficiale.
Il camping – denominato per la cronaca Lido dei Pini – trova posto in una vasta pineta ad un centinaio di metri dalla spiaggia e si presenta subito piuttosto affollato, cosicché l’imbarazzo della scelta del luogo dove poter piantare la tenda, è ridotto al minimo. La fame e anche la gran voglia di riposare ci costringono inoltre a prendere possesso precipitosamente di un pezzetto di terreno leggermente sopraelevato sul ciglio sinistro della strada interna e per questa ragione non poco polveroso. La scelta non si può definire davvero indovinata, se si pensa inoltre che dalla parte opposta, una decina di metri più in basso, ci sono i servizi. Quel che ci preoccupa subito è naturalmente la possibilità di dover a un certo punto sopportare qualche fetida e malsana folata di vento proveniente da laggiù, ma l’eventualità viene accettata più o meno facilmente da tutti e tre al pensiero di dover trascorrere qui solo una notte.
Posteggiato così il 124 tra un albero e la nostra rialzata postazione, ne vuotiamo il portabagagli di tutto ciò che adesso si rivela di primissima necessità, vale a dire il fornello, il tavolino, lo scatolone delle beneamate paste e la pentola, che Alberto, dopo essere stata prontamente riempita d’acqua dal Gianni presso un rubinetto lungo la strada interna, provvede a mettere sul fuoco. Un’altra preoccupazione che intanto ci sorge è costituito dal fatto che non sappiamo per quanto tempo la cartuccia del gas, essendo già stata precedentemente usata, possa assolvere alla sua funzione. Speriamo bene!
Nel frattempo ci fermiamo lo stomaco con una delle due uova sode, che la Signora Sorrentino - sembrava lo sapesse – ci aveva provvidenzialmente preparato per ciascuno. Le frenetiche occhiate rivolte a turno verso la pentola per vedere se finalmente cominciano a farsi scorgere le fatali bollicine, si fanno intanto sempre più frequenti. Costatiamo frattanto che il burro comprato a Ronciglione si è completamente squagliato, tanto che viene spontaneo domandarsi se il Gianni facendo la spesa non abbia piuttosto chiesto un quartino d’olio; il formaggio grana invece, che sarebbe dovuto essere grattato, appare come una maleodorante massa appallata e d’altra parte non avremmo potuto pretendere altrimenti, visto, o meglio sentito, il caldo che fa e considerando le tre infuocate ore di macchina che abbiamo sopportato.
Un occhio alla pentola e si prepara la pasta: la dose è abbastanza discussa, ma alla fine è presa di comune accordo la decisione di farla piuttosto abbondante; ‘tanto ne abbiamo a chili! La pentola, riparata dal tavolino, che, disposto opportunamente, funziona anche da ottimo paravento, è intanto oggetto di ulteriori preoccupanti sguardi, che per ora non trovano però consolazione in quelle maledette bollicine, che non si degnano di uscir fuori.
Non sappiamo cosa fare in attesa: ascoltiamo la radio, che già saluta con “buon pomeriggio”, seguiamo con occhio spento l’andirivieni dei nostri colleghi campeggiatori, che, fortunati loro, stanno già facendo il chilo passeggiando, parliamo…
Ed ecco che alla fine l’acqua comincia a bollire con gran sollievo di tutto l’equipaggio, mentre il capo cuciniere, alias Alberto, provvede all’immersione del notevole mannello di pasta, che viene quindi rigirato prima con la forchetta del Gianni e poi con un’altra non trasmettitrice invece di calore. Poi, dopo qualche minuto, Alberto avverte che la cartuccia del gas ha già dato tutto ciò che aveva in corpo.
Gulp!
In compenso, dice, le paste sembrano sufficientemente cotte, anche se a questo punto l’ipotesi opposta avrebbe avuto lo stesso valore, incapaci come saremmo stati di poterle portare a giusta cottura.
Ed ecco ora la fase di scolamento: Alberto rovescia le paste, l’Ughino le riprende nel colapaste;  convenientemente scosse, le rovescia di nuovo e il Gianni le raccoglie felicemente al volo nell’insalatiera pronte per essere condite.
Ultimata l’apparecchiatura del tavolino, ci sediamo e ci si serve cominciando subito a sgranare. Finalmente! Ore 15.40:…”’n appetito, eh!”… “mi riservo!”… “bone però, eh! Ce ne son altre?” Purtroppo no. Passiamo allora al secondo, sia nel senso di portata, che dell’altro uovo sodo della Signora Sorrentino; poi, per chi se ne giova, mangiamo un formaggino, mentre conclude il pranzo una pesca del Gianni.
Sono le 16.00 poco più e il più è fatto.
Dopo l’obbligatorio e salutare chilo, trascorso beatamente spaparanzati sulle seggioline, sorge adesso il problema inerente alla tenda. Il suo montaggio sarebbe dovuto essere, secondo il programma, di esclusiva pertinenza di Alberto, ma ciò nonostante anche gli altri si sentono in dovere di collaborare. Viene sollevata per un momento la possibilità di poterla piantare in un luogo più decente, ma, dopo una rapida perlustrazione in un vasto spiazzato anch’esso abbastanza al completo, viene accantonata: ‘tanto per una notte.
Messi da parte quindi pentole e posate – si rigoverneranno – distendiamo la nostra Canadese-4 posti sul quadratino di terra, mentre Alberto, il più pratico dei tre in montaggi del genere, entra dentro e, incurante del soffocante caldo, pianta uno dei due tubi di sostegno; sta poi per sistemare il secondo, quello vicino all’uscita, quando avverte che una delle due articolazioni di cui è composto è troppo lunga e non c’è verso quindi di piantare regolarmente il tutto.
Il nome del Callegari, noleggiatore della tenda, risuona a questo punto con una certa frequenza e seguito da epiteti e qualificazioni irripetibili a tutela del sentimento comune della morale, in quanto lo si ritiene responsabile di questa bassa truffa.
Si vagliano le varie possibili soluzioni da adottare, fra le quali quella di prendere a nolo una nuova tenda, poi rivolgendoci ad un addetto alla manutenzione del camping, che stava passando di qui, gli domandiamo se in direzione o allo spaccio del campeggio è possibile trovare un accessorio del genere. La risposta è negativa, ma non disperiamo, in quanto il provvidenziale omino si preoccupa di andare a  segare il pezzo esuberante. Dopo breve eccolo di ritorno: la sega, dice, ce l’avrebbe soltanto domattina, ma in compenso ci ha portato un altro tubo, un po’ più corto, che però è adattissimo a salvare per il momento la situazione davvero critica.
Ringraziamo l’omino, che per il grosso favore rimedia una sigaretta, completiamo la sistemazione dei sostegni interni della Canadese e, piantato l’ultimo picchetto e teso l’ultimo tirante, non ci rimane adesso che da preparare i materassini e i sacchi a pelo e, per chi non è fornito, coperte e lenzuoli. Ci accorgiamo però che il gonfiature di Alberto perde, cosicché, dopo vari tentativi di riparare la falla, prendiamo atto che la cosa più conveniente e veloce sia quella di usare i polmoni.
Saranno le 17.30, quando terminiamo l’assetto della tenda. A questo punto però si rivela necessario trovare il modo di trascorrere con interesse la rimanente serata. C’è chi propone di andare sulla spiaggia; si ripiega però sulla partitina a carte. Ci mettiamo così attorno al tavolino, sfruttando al tempo stesso la nostra strategica posizione, per goderci il passo dei campeggiatori e soprattutto delle campeggiatrici, a cui però sembra non dia affatto nell’occhio le nostre tre belle facce. Da parte nostra invece c’è un discreto interesse per le più meritevoli dal punto di vista estetico, notando, tra le altre, due ragazzine, un po’ piccine però, che inconcepibilmente vanno avanti e indietro senza posa lungo la strada interna. Quella col vestito rosso, tra l’altro, è anche piuttosto carina, tanto che stuzzica la fantasia di qualcuno, che prontamente la battezza con l’appellativo di “rossina”. L’episodio non ha però alcun seguito.
Intanto a forza di doppie, scale e full, comincia lentamente a far buio. Si presenta quindi a questo punto il problema di come organizzare la prima cena, che decidiamo di consumare fuori del camping.
Riordinate perciò sommariamente le nostre carabattole, ci laviamo i piedi, indicibilmente sozzi per la polvere onnipresente, e poi, vestiti alla meglio, lasciamo in 124 il campeggio. Sono le 20.40.
Percorso il lungo viale, arriviamo ad Anzio e la prima cosa che ci colpisce è il movimento di cui è caratterizzata questa attrezzata località balneare, con un sacco di gente per le strade e con molti negozi, benche siano le 21.00 passate, ancora con le saracinesche aperte. Posteggiamo il 124 sul lungomare e stiliamo il menù: pizza e birra. Okay!
La ricerca di un locale decente ma non troppo per i soliti nostri assillanti motivi finanziari, si protrae per un bel pezzo, dandoci così occasione di fare una giratina a piedi per Anzio. Poi, in quella che deve essere la piazza principale, troviamo alla fine un venditore di pizza, presso cui ne prendiamo due pezzi ciascuno, rassegnandoci a mangiarli cammin facendo, visto che non ci sono né tavolini né sedie ad uso e consumo della clientela.
La cena non si rivela certo molto sostanziosa considerando lo spessore dei due quadrati di pizza, che assomigliano piuttosto a due pezzi di cartone, per altro troppo bruciacchiati, ma tutto sommato sono sufficienti per stasera, dal momento che tuttora ci sentiamo pieni del pranzo pomeridiano. Ci fermiamo sul lungomare, da cui è possibile vedere la spiaggia e un tenebroso mare abbastanza calmo e punteggiato da alcune barche dotate di lampare; poi, per mandar giù il malloppo, raggiungiamo un bar, dove, comodamente seduti ad un tavolino nella penombra di un pergolato, ordiniamo e scoliamo tra un’emissione di gas e l’altra, una fresca e dissetante birra. Scriviamo anche le cartoline precedentemente acquistate in piazza, che poi, fatte ancora due chiacchiere, imbuchiamo presso lo stesso bar, tornando quindi al vicino 124.
Ripercorriamo il viale e alle 22.30 siamo di nuovo presso la tenda, pronti a goderne in pieno la riparatrice funzione.
Torna però in mente il problema, forse più spinoso di tutta la giornata, qual è quello della rigovernatura, che, dimostrando molto buon senso, Alberto si accolla completamente, ricevendo l’eterna gratitudine degli altri. Riordinato quindi alla meno peggio il portabagagli, ci laviamo presso i servizi, costituiti da una serie di sgabuzzini rialzati e da alcuni lavabi esterni, poi facciamo l’ufficiale ingresso in tenda. Chiude il Gianni, che dopo aver aggiornato il diario di bordo e ben chiuso il 124, disposto sul ciglio della strada con il muso rivolto verso la Canadese, in modo da sfruttare la fanaliera tenuta finora accesa onde evitare sonori ronci, raggiunge gli altri in “camera da letto”.
Sono le 23.10, giusto in tempo per ascoltare alla radio il collegamento con la filodiffusione, che con un po’ di musica leggera ci rilassa completamente conciliandoci pure il sonno, che dopo qualche altra battuta e tre o quattro risate, prevale su tutto dando così inizio alla prima operazione-notte.
Per la cronaca la disposizione dell’equipaggio è la seguente: Alberto è al centro, mentre l’Ughino e il Gianni si trovano – guardandoli – rispettivamente a sinistra e a destra.