11 agosto - Lido di Castellaneta – Trebisacce

Forse perché un po' più stanchi degli altri giorni per la faticosa e movimentata giornata di ieri, stamattina ci svegliamo solo verso le 7.00, ma in breve siamo tutti di nuovo in piedi pronti a vivere intensamente anche la giornata che stiamo per cominciare. Il tempo sembra buono e destinato a rimaner tale ed è questo un buon auspicio oltre che un incentivo a riordinare il tutto al più presto e mettersi in condizione di partire nel più breve tempo possibile.
Appena fuori dalla Canadese però, la visione della pentola, dell'insalatiera e di tutti quegli altri accessori utilizzati ieri per preparare pranzo e cena ed ora accatastati nella busta di plastica, ci fa tornare subito alla mente l'annoso e insolubile problema della rigovernatura, che Alberto - Dio gliene renda merito! - si accolla con una certa rassegnazione avviandosi con passo sconsolato verso i lavabi sistemati esternamente alla costruzione dei servizi. Lo segue l'Ughino, ben attento stamattina nell'usufruire dei W.C. per non ripetere il madornale errore di iersera, allorché scelse inavvertitamente con Alberto la porta opposta a quella contraddistinta dalla caratteristica sagoma di ornino.
Il Gianni si trattiene invece presso la tenda, che, per non perder tempo, comincia a smontare e ad arrotolare dopo aver ovviamente tirato fuori coperte, materassi e sacchi a pelo ed aver tolto alla meno peggio dall'interno la sabbia e gli aghi di pino inevitabilmente penetrati. Va poi a svegliare il beneamato 124, predisponendolo quindi una volta tornato presso la tenda al rituale riempimento del portabagagli.
Tornando intanto l'Ughino e Alberto, reduci dalla meritevole operazione lavaggio svoltasi perfettamente, cominciamo allora ad organizzare la partenza, mentre il Gianni prende un attimo di permesso e, munito di saponetta e asciugamano, si dirige a sua volta verso i servizi per liberarsi anche lui delle noiose cispe notturne. Poi, dopo aver accuratamente ripulito e riordinato l'ospitale quadratino di pineta ed aver stipato come al solito all'impossibile il pur capace baule del 124 inserendo nei ristretti spazi ancora liberi una pinna, il gonfiatore e il prezioso martello pianta picchetti rimasti ancora fuori dopo la sistemazione dei colli più ingombranti, come le valigie e in particolar modo il voluminoso sacco a pelo dell'Ughino; tutto è pronto per il via.
Il Gianni è al volante, l'Ughino gli è accanto, mentre Alberto è dietro. Ripercorrendo a ritroso la ghiaiosa stradina, costatiamo che anche quei tedeschi dall'attrezzatissimo furgone Volkswagen partono stamattina; poi, dopo aver fiancheggiato la costruzione dei servizi ed aver fatto attenzione a non centrare quel maledetto e pericoloso tubo sporgente, ci fermiamo sul piazzale per regolare il conto e tornare in possesso delle rispettive carte d'identità. Dopo di che, guardato l'orologio che segna le 8.20 - ora tutto sommato abbastanza decente - usciamo e ci immettiamo sul viale. Raggiunta poi la Statale, non abbiamo esitazione nell'imboccare la stessa strada percorsa iersera dal momento che occorre tornare a Castellaneta, da dove praticamente inizia l'odierno sconosciuto itinerario che ci porterà, se Dio vuole, in Calabria.
Qualche decina di chilometri ed eccoci attraversare Castellaneta, dove però siamo costretti ad osservare alla periferia Nord del piccolo centro pugliese una obbligatoria fermata davanti alle sbarre abbassate di quel già citato passaggio a livello, che a quanto pare sembra essersi sfortunatamente chiuso da poco, trovandoci difatti proprio sotto le barriere. Siccome perciò l'attesa si preannuncia abbastanza lunga, si dimostra subito consigliabile - tanto per non tradire una volta di più le nostre evidenti intenzioni economiche - di spengere il motore; il quale tra l'altro mica va tanto bene stamattina. Unica risorsa frattanto per ingannare il tempo si rivela a questo punto il via vai della gente, che tranquillamente - beata lei! - senza perder tempo, può attraversare i binari grazie ad un cancellino laterale che sarà lasciato aperto fino a quando il treno non sarà ormai vicino. Alberto allora, dopo aver escluso a priori la difficilmente realizzabile possibilità di fare altrettanto anche noi mettendo su due ruote il 124 o smontandolo pezzo per pezzo col rischio però, una volta pazientemente rimontato al di là dei binari, di ritrovarsi a bordo di uno sbuffante trattore di nuova concezione, ma che assomiglia maledettamente ad una cucina economica, prende la radio a transistor, che da iersera non riesce a farci sentire una qualsiasi trasmissione, e ne comincia a smontare l'antenna da sistemarsi fuori del finestrino, costatando però la completa inesistenza di fili dissaldati o di qualche altra anomalia. Il problema quindi dell'ingiustificato mutismo dell'apparecchio permane, affiancato anzi adesso da quello non meno facilmente risolvibile di rimontare il corpo dell'antenna come qualsiasi manuale di elettrotecnica vorrebbe. Cosicché, come risultato, ci ritroviamo ad avere un'antenna di meno, e molto probabilmente anche una radio, ma in compenso molte viti e dadi sparsi per il 124, ma inutilizzabili - questi ultimi - nemmeno per fare stasera una banale minestruccia.
Il tempo comunque si è passato in qualche modo, tanto è vero che sta sopraggiungendo adesso il sospirato convoglio ferroviario. Passa la motrice, qualche vettura, poi il treno si ferma, ma il bello è che, siccome la stazione di Castellaneta deve essere a qualche decina di metri dalla strada, gli ultimi vagoni occupano ancora la carreggiata della Statale. Porca miseria!
Passano pochi minuti, trascorsi in impaziente ed obbligata contemplazione del vagone in mezzo alla sede stradale e dei passeggeri, che affacciati ai finestrini ci salutano quasi beffardamente con la manina; poi il treno finalmente riparte e, dopo un attimo di tensione per il timore che ne debba passare ancora uno di treni, le sbarre si alzano permettendo così al Gianni, dopo aver superato con cautela questo maledetto passaggio a livello, di fare una lunga sparata distenditrice ma dal rombo non tanto convincente. Chissà perché?
Cerchiamo intanto di recuperare un po' del tempo così inutilmente perduto, cercando di spingere un po' di più il 124 sui lunghi rettilinei della Statale 100, ma ad un certo punto il Gianni, convincendosi sempre più dell'anormale funzionamento del motore, esclama un "ma questa macchina 'un va mica stamattina!", che vien subito confermato dall'Ughino e che istaura inevitabilmente a bordo una certa tensione. Ma non c'è niente da fare. Il 124 oggi sembra non conoscere più la parola ripresa, la quale evidentemente deve essere stata sostituita nottetempo dal termine singhiozzo, visto che in qualsiasi marcia si cerchi di tenerlo, comincia a sussultare appena il motore vien mandato su di giri, reclamando in tal modo l'inserimento di un rapporto inferiore. Dal momento allora che non è più possibile andare avanti così, decidiamo di fermarci arrestando la macchina, dopo aver superato un tratto tortuoso, su un lungo rettilineo, giunto ad hoc per una indisturbata sosta.
Aperto il cofano motore ci buttiamo tutti e tre sul motore incriminato con tanta buona volontà di rimediare il possibile, ma anche con quella buona dose d'incompetenza che ci accomuna, salvo magari l'Ughino, che difetti subito sembra aver individuato nelle puntine contenute dalla calotta dello spinterogeno la causa della panne. Appaiono piuttosto sporche. La relativa raschiatura viene effettuata ricorrendo a mezzi di fortuna come la carta vetrata di una scatola di cerini e a questo punto sembra che il più sia fatto. Controlliamo comunque se altre parti presentano evidenti anomalie e proprio mentre stiamo così tutti e tre protesi nel vano motore, ecco una inaspettata e forte ventata che rendendo inutile la funzione dell'apposito puntello che sorregge il cofano, fa richiudere con una certa violenza quel pezzo di lamiera sui tre malcapitati e improvvisati meccanici. La botta si rivela subito più forte di quanto si possa pensare: la peggio l'ha avuta Alberto che se l'è presa proprio sulla testa, mentre il Gianni ha riportato, nel tentativo ultimo di sorreggerla, alcune escoriazioni di poco conto ad un polso. Agli zoppi grucciate, insomma! L'Ughino, continuando imperterrito nella intrapresa opera di riparazione, e forse perché era il più chinato di tutti non si sarebbe invece accorto nemmeno dell'accaduto, se non fosse per le conseguenti imprecazioni degli altri due.
Speranzosi intanto di poter riconoscere in pieno la vacante onorificenza di meccanico di bordo all'Ughino, risaliamo in macchina, ma ripartiti ci accorgiamo che la situazione non è cambiata di molto e che anzi tende a peggiorare, tanto da richiedere immediatamente la più competente assistenza di una qualche officina.
Siamo decisamente preoccupati: può darsi infatti che sia un'inezia, ma c'è anche l'eventualità che si tratti di qualcosa di grave e in tal caso, senza macchina cioè, saremmo costretti a perdere ad esser ottimisti una giornata, oltre che qualche prezioso bigliettone. Che Dio ce la mandi buona e possibilmente senza vento, sicché!
Dopo qualche minuto, ecco incontrare l'atteso cartello d'indicazione che ci segnala la più vicina stazione di servizio FIAT a poco più di una dozzina di chilometri in località Gioia del Colle. Mah!, speriamo d'arrivarci! I chilometri, anche se relativamente pochi e percorsi a decente andatura, ci sembrano infatti - preoccupati come siamo di dover sentire ad un certo punto un irrimediabile crack nella parte anteriore della macchina, che ci appiederebbe inesorabilmente - ci sembrano spasmodicamente interminabili.
Comunque, anche se il motore continua a girare con tutt'altra regolarità di un orologio, eccoci di lì a poco entrare nel centro della cittadina pugliese, dove incontriamo subito un traffico lento e caotico. Rimaniamo difatti addirittura imbottigliati in un ingorgo tra auto mal parcheggiate - usa anche quaggiù! - e veicoli, tra cui un grosso camion, impossibilitati ad incrociarsi senza reciproche lesioni, facendoci così perdere ancora qualche prezioso minuto. Superato l'intricato intoppo, ci perdiamo poi un po' tra gli immancabili sensi unici e quindi, aiutati dalla rituale informazione fornitaci come al solito in stretto dialetto, riusciamo a localizzare finalmente la stazione di servizio, che molto probabilmente avremmo potuto raggiungere continuando per la statale e senza impelagarsi sicché in centro. Adesso ci sentiamo un po' meglio.
Fatto ingresso nell'ampio salone dell'autofficina, ci vien incontro un meccanico, che, informatosi delle noie presentate dalle macchina, ci fa accedere nel reparto lavorazione, dove il cofano del 124 viene di nuovo aperto. Si prova a mandar su di giri il motore con tremende sgassate sanguisughe per il serbatoio; vien pulito il filtro dell'aria con potenti aspiratori; ci vien detto infine di fare un giro di prova e il fatto ci solleva un tantino perché evidentemente non deve trattarsi di un guasto di eccezionale gravità. Una volta fuori però, i sintomi precedentemente avvertiti tornano a farsi sentire, anche se in maniera ridotta. Torniamo in officina. Il tecnico, che già cominciava ad occuparsi di un 124 Sport di una coppia, torna a mettere le mani nel nostro motore cercando stavolta di sistemare le puntine, che forse costituiscono l'unica causa dei nostri guai. Sembra molto probabile infatti che a contribuire all'inattività del motore sia stata determinante 1'azione della rena dell'International Camping, fine e sottile, quanto però insidiosa per delicati ingranaggi. Ci vien detto inoltre che il 124 ha anche un grembiulino rotto, ma comunque il fatto non costituisce alcun disagio, salvo quello di sentire ogni tanto un curioso tintinnio. Il meccanico traffica ancora tra fili e manicotti, poi decide di provarlo. Usciamo col tecnico al volante lasciando Alberto in officina. Una violenta sparata lungo il limitrofo rettilineo ci preannuncia che tutto è tornato nelle migliori condizioni. Non ci stanchiamo però di assicurarci, mentre torniamo verso la stazione di servizio, che il guasto non debba ripetersi a breve scadenza e la risposta del provvidenziale meccanico è no. Rientriamo in officina ed il tecnico conclude la sua opera mettendo sotto il pedale dell'acceleratore un po' di grasso che dovrebbe rendere il dosaggio del gas ancora più preciso. Poi, alla richiesta della parcella, ci vien risposto: "niente, niente"; ma siamo così soddisfatti e rasserenati, che ci membra giusto lasciare una mancia.
Tornati sulla statale, ci fermiamo poco dopo a far rifornimento e per controllare la pressione delle gomme ed il livello dell'olio, il quale risulta però, considerando i chilometri fin adesso percorsi ed il pieno fatto di recente a Firenze prima di partire, più basso del previsto. Per sicurezza ne rabbocchiamo comunque un chilogrammo; dopo di che ripartiamo.
Prossima tappa di un certo interesse turistico è a questo punto Alberobello, il cui inconfondibile stile già comincia ad intravedersi lungo la pianura che stiamo attraversando così ricca di olivi e di cactus e pullulante ogni dove di villette costruite a forma di trullo che attribuiscono al paesaggio un certo carattere orientale.
Dopo un buon venti minuti di marcia finalmente regolare, ecco intanto attraversare Noci: un paesino che troviamo in preda ad una babelica confusione e causa del mercato in pieno svolgimento nella movimentata piazza principale e lungo le strade adiacenti, che ci costringono, essendo state in gran parte chiuse al traffico, a fare un ampio e tortuoso giro pesca per poterci reimmettere sulla strada statale.
Alle 11.15 raggiungiamo poi Alberobello. C'è un bel sole e fa davvero caldo. Dopo aver localizzato con un paio di informazioni la zona più interessante della cittadina, quella cioè dei trulli, riusciamo a posteggiare il 124 davanti ad un ufficio postale, ma purtroppo proprio nella parte più assolata della piazzetta in cui ci troviamo: non ci meraviglieremmo se al ritorno al posto dei sedili, per di più neri, scoprissimo una scura massa fusa di semilpelle! Comunque.
Imboccando a questo punto una stradina in discesa, già cominciamo a scorgere sullo sfondo i caratteristici trulli delle bianche mura circolari e dai tipici tetti a forma di cono sul cui apice un girigogolo variamente sagomato sembra abbia la funzione di fornire agli indigeni più distratti al momento di rincasare, o meglio di rintrullare, una più immediata visuale del circondario di appartenenza e di poter quindi localizzare il più facilmente possibile la propria abitazione. Alberto frattanto con al collo la sua fedele Petri, si è procurato in previsione del previsto servizio fotografico per conto del quotidiano di Pizzo Roccapapera di Sotto sul possibile inserimento della tecnica imbiancatrice della parte inferiore del trullo nel progresso dei detersivi, annesso alla non trascurabile possibilità di poter utilizzare i tetti delle succitate costruzioni, una volta rovesciati, nell'industria dolciaria per la produzione su grande scala di giganteschi coni gelato collettivi, ideali in special modo per gite o rinfreschi aziendali; si è procurato per 1'occasione, dicevamo, un assistente d'eccezione - quale sa essere l'Ughino - che pazientemente col cavalletto in spalla accompagna con impareggiabile stile il fotografo per antonomasia dell'equipaggio, pronto a dare il proprio contributo nella ripresa di qualche suggestivo squarcio.
Il Gianni dal canto suo, pubblicizzando di quando in quando ma fin quasi all'ossessione il pozzetto di cui è dotata la sua Lubitel, si aggira - per la verità ben poco dignitosamente - in mutandine da bagno e con un paio di calzini, che, pur risultando senz'altro utili per evitare pericolosi slittamenti dei piedi sudati durante la guida, appaiono decisamente piuttosto ridicoli, come del resto la maglietta bianca, che, coprendo completamente gli slip, assomiglia piuttosto ad una vertiginosa minigonna, che nella circostanza però ha tutt'altro che del provocante.
Ecco entrare frattanto nella piazza prospiciente la zona dei trulli. Sulla sinistra ci colpiscono subito vistosi striscioni e bandiere internazîonali, stesi ed alzate per evidenziare una fiera dell'artigianato locale, allestita in uno spiazzato adiacente. Preferiamo però concentrare per il momento la nostra attenzione sul clou di Alberobello, vale a dire i trulli. Dopo aver ripreso sicché da varie angolazioni la piazza, cominciamo ad addentrarci nella città vecchia - ma non per questo, siccome interessante turisticamente, mal conservata e curata - imboccando una stradina piuttosto in salita fiancheggiata esclusivamente dalle caratteristiche costruzioni. Lo spettacolo, anche se, quanto a novità, abbastanza scontato per chissà quante cartoline o documentari in proposito visti e rivisti, risulta comunque interessante. Il nitido azzurro del cielo, interrotto qua e là da grosse nuvole, ma di quelle simpatiche, bianche e pastose, fa risaltare ancor più i colori tradizionali di queste strane abitazioni, la cui abitabilità ci stupisce però un tantino. Fatto qualche centinaio di metri in salita, giunti cioè ad un tipico bar adattato in due trulli, decidiamo di tornare indietro.
Ad un bivio incontriamo poi un ortolano, che, tutto intento a reclamizzare le più impensate qualità della propria merce, sbraita e vocifera a squarciagola. Imboccando la biforcazione di destra, ci ritroviamo di nuovo in piazza dal lato però della citata mostra, di cui prendiamo visione in una rapida carrellata. Sarebbe nostra intenzione acquistare qualche ricordo, tanto più che fin adesso non abbiamo mai avuto occasione di rifornirci dei prammatici souvenir, che risultano il più delle volte abbastanza inutili, ma sempre necessarissimi comunque per chi ci aspetta a casa. Ma trulli in miniatura con la immancabile didascalia che indica la loro provenienza, qualora non lo si riuscisse ad intuire; collane, pietre, medaglie e cenci vari con cianfrusaglie affini non ci soddisfano. Torniamo ben presto in piazza e, nel tentativo di trovare qualcosa che ci vada a genio, invadiamo un negozino in un seminterrato, che si rivela però fornitissimo nonostante le dimensioni di un visibiglio di oggetti di artigianato locale o per lo meno tacciato per tale a scopo di irretire il povero e sprovveduto turista, sempre illuso di essere davanti ad un'esclusiva mondiale. Di fronte a tale massa di roba esiste in un primo momento un certo imbarazzo della scelta, ma poi tutti e tre compiamo il rispettivo acquisto: una corona da rosario a grossi e pesanti grani; uno stiletto con la relativa guaina da appendersi al muro, ma destinato invece a finire in chissà quale cassetto una volta tornati a casa; una collana di foggia strana, a cui son legate tutte le speranze di successo per il regalo che dovrà costituire. Dopo essere stati tentati di acquistare anche un copri tavola per la verità piuttosto bello, ma, ahimè, altrettanto caro, usciamo col prezioso sacchettino di ricordi ed imbocchiamo a questo punto di nuovo quella ripida stradina di dianzi per un'ulteriore perlustrazione.
Contornati ancora da decine e decine di trulli, tutti uguali, ma nel complesso simpatici, percorriamo una stradina che dianzi avevamo trascurato e che si rivela interessante, visto che davanti ad una porta sono esposti quei caratteristici scialli a maglie larghe di sicura produzione locale, di cui uno è possibile osservare ancora disposto sull'apposita tavola di lavorazione cosparsa da grossi chiodi che permettono la precisa formazione geometrica del drappo. La padrona di casa, cioè, pardon, di trullo, visto il nostro interessamento si fa subito sulla soglia e sommariamente ci illustra la tecnica di lavorazione del pregevole capo.
Torniamo in piazza e ci dirigiamo adesso verso il bar-tabacchi, situato dalla parte opposta della mostra dell'artigianato, e qui prendiamo qualche cartolina e ci facciamo servire a tavolino qualcosa di rinfrescante. Poi, dopo due chiacchiere, spese anche per commentare una costosa macchiane fotografica di un nostro collega turista, ci rincamminiamo verso il 124.
I timori precedentemente formulati circa la poco ideale iniziativa di lasciare la macchina al sole si rivelano ben presto fondati, ma con un po' di sforzo riusciamo in breve a resistere al quasi insopportabile bollore emanato dai surriscaldati sedili, che tra l'altro mettono a dura prova parti abbastanza delicate del nostro retrotreno. Prima di partire sbrighiamo la consueta corrispondenza con chi di dovere, che imbuchiamo nella cassetta che abbiamo proprio qui davanti, quindi, sistemato il sacchetto dei souvenir sul sedile posteriore, che già comincia ad essere piuttosto sottosopra, partiamo. Sono le 12.15.
Imbocchiamo adesso, indirizzati da una sfilzata di cartelli, la strada per Taranto, che si apre sul lato opposto della piazza dove eravamo riusciti a parcheggiare il 124. Anche Albero bello (sembra comunque che si scriva attaccato) viene così archiviato.
In una decina di chilometri raggiungiamo il successivo centro abitato, Locorotondo, dove ci soffermiamo un attimo per permettere al Gianni di usufruire un altro documentaristico fotogramma, impressionato in questa circostanza da quelle vistose arcate variamente foggiate e ricoperte da lampadine di diversi colori, sistemate discontinuamente lungo una strada e quasi sicuramente preparate per offrire una cornice ancora più festosa all'immancabile processione di ferragosto, fra quattro giorni.
Lasciato Locorotondo, puntiamo decisamente verso Sud in direzione di Taranto, mentre, visto che è già passato da un pezzo mezzogiorno, cominciamo a stendere un programmino per esaudire finalmente la mai sopita voglia di fare il bagno, in modo però da conciliare anche quel puntuale senso di fame, che verso quest'ora - che strano! - prende a farsi sentire. Oggi è però consigliabile cercare di sopportare un po' più del solito il quotidiano languorino così da poter soddisfare le altrettanto importanti esigenze igieniche, senza per altro correre insidiosi pericoli di congestione.
Per il momento però ci è concesso soltanto di sognarlo il mare, dato che tuttora siamo circondati dalla caratteristica pianura dell'arido Tavoliere, punteggiato solo qua e là da qualche trullo e ricoperto dalla tipica vegetazione di questa zona costituita da olivi, cactus e sterpaglia varia. Non dovrebbe comunque a questo punto mancare molto a Taranto, prima località costiera che incontreremo, anche se è preferibile aspettare ormai di essersi abbondantemente allontanati dal capoluogo pugliese per scegliere la spiaggetta che ci dovrà ospitare, onde evitare di ritrovarsi a fare il bagno in inquinati e magari oleosi specchi d'acqua limitrofi al porto o agli scarichi delle fogne cittadine e pregiudicare in tal modo le nostre forzate intenzioni igieniste, abbinate naturalmente alle non meno sentite necessità di sollazzarci finalmente in spensierati sguazzii.
Ed ecco infine Taranto.
Stranamente, grazie forse all'ora più invitante a sedersi in tranquillità attorno al desco familiare, piuttosto che ad affannarsi nella disperata ricerca di una pozza d'acqua dove poter fare il bagno, riusciamo ad attraversare in un batter d'occhio il centro cittadino, ritrovandoci però, forse proprio a causa della scarsa possibilità dì raccogliere informazioni, in una strada che, superato al di sotto un cavalcavia, si interrompe all'improvviso. La presenza di un cartello del tipo "vietato l'ingresso ai non addetti ai lavori" risolve immediatamente l'enigma dando modo a qualcuno, imbeccato da una felice intuizione, di accorgersi che la strada appena imboccata conduce sulle banchine del porto e che quindi più di ogni altra sia da definirsi senza sbocco. Dal momento poi che proseguendo in questa direzione avremmo davvero fatto il bagno, ma di un tipo e di una meccanica che non avremmo mai previsto, torniamo allora un po' indietro, quel tanto che basta per tornare nei pressi di quella sopraelevata che dianzi avevamo evitato passandoci di sotto e che ora invece, raccolta al volo un'informazione, imbocchiamo finalmente garantiti anche da una successiva freccia che préannuncia già addirittura Reggio Calabria.
Per di qua, e il fatto ci consola, non dovremmo più sbagliare.
Ecco cominciare sicché a questo punto la ricerca dell'agognata spiaggetta, che, anche per motivi economici, preferiremmo trovare libera.
Il tempo intanto continua lentamente a trascorrere - son già le una passate - mentre, per giunta, il cielo comincia a rannuvolarsi minacciosamente. La strada, larga e abbastanza rettilinea, costeggia senza soluzione di continuità il litorale ionico che risulta separato per qualche centinaio di metri dalla statale ora da una folta vegetazione, ora da distese sabbiose male e poco utilizzate.
Tutti intenti a cercar di scorgere anche la minima deviazione sulla nostra sinistra verso il mare, compiamo a buona andatura, grazie, data l'ora, alla quasi completa assenza di traffico una prima parte di quell'ampio arco costituito dal golfo di Taranto, ritrovandoci così più o meno nella zona dove abbiamo pernottato stanotte: da queste parti difatti dovremmo incontrare il Motel Esso di ieri sera.
Della spiaggia però ancora niente.
Superiamo ora, percorrendo un lungo viadotto, il petroso e squallido Bradano, poi, dai cartelli, è evidente che siamo in località Metapontum. Ci aspetteremmo da un momento all'altro di vederci circondati nella loro imponenza dai famosi ruderi dell'antica Magna Grecia, ma - forse perché adesso siamo troppo poco interessati a qualsiasi ritrovato archeologico non ne vediamo neppure l'ombra. Sempre più protesi nell'indispensabile ricerca di una pozza d'acqua in cui bagnarci, continuiamo sicché la nostra marcia ripromettendoci magari di tornare dopo pranzo da questi paraggi per una più approfondita ricerca di qualche tempio diroccato e avanzi vari, tempo comunque permettendo e ammesso che la suddetta rincorsa all'acqua si concluda nella maniera desiderata, ipotesi questa che ora come ora non appare eccessivamente probabile.
Ma all'improvviso, a metà di uno di quei soliti lunghissimi rettilinei, si profila un incrocio. Lo raggiungiamo e, data una fugace occhiata ai cartelli, lo impegnamo imboccando la deviazione per Lido di Metaponto che si apre sulla sinistra, la quale, salvo una comune improvvisa incapacità orientativa, non può che portare verso il mare. La strada, piuttosto deserta e interrotta di tanto in tanto da derivazioni laterali, procede fra due ali di verde pineta, che, ricordandoci vagamente la familiare Versilia, ci preannuncia inequivocabilmente quella massa più o meno agitata di acqua, definita talvolta mare.
In fondo alla strada ci sembra però di scorgere alcune costruzioni di tipo balneare, che difatti, raggiungendole, ci confermano la sfumata speranza di aver finalmente trovato la maniera di poter fare il bagno, dal momento che, come si è già detto, è nostra unica intenzione trovare una spiaggia libera e non ridursi quindi a far la nostra esperienza in acque ioniche con un'atmosfera inutilmente simile a quella che siamo costretti, nostro malgrado, a sopportare dalle nostre parti con tanto di ombrelloni, sdraio e deprimente cicciaio. Decisi così a scovare quel non so che di selvaggio e di brado che crediamo possa esistere ancora in questa regione, diamo una rapida occhiata al tutto e, superando qualche gruppetto di villeggianti che cominciano prudentemente a sfollare dalla spiaggia a causa di alcuni grigiastri nuvoloni che ostacolano completamente l'operato del sole, ci rincamminiamo verso la statale.
Raggiunto un incrocio, decidiamo poi - qualora riuscissimo ad avere maggior fortuna - a cambiare direzione, attuando così una decisa svolta a sinistra approvata in questa occasione anche dagli elementi più conservatori dell'equipaggio.
Ci ritroviamo però, fatte qualche centinaia di metri, in un centro abitato che ad occhio e croce non ci sembra possa aiutarci molto non riuscendo a prima vista ad intuirvi alcuna attinenza col mare, nè tanto meno ad individuarvi una qualche insegna per i bagni pubblici, i quali, se non altro, ci permetterebbero di raggiungere almeno in parte il nostro duplice obiettivo. Al che, giunti in una piazzetta, compiamo una perfetta manovra ad U e torniamo indietro.
Guadagnato di nuovo l'incrocio di dianzi, proseguiamo stavolta a dritto tornando così sulla statale che imbocchiamo di nuovo verso Sud.
Ancora sei o sette chilometri a buona andatura, poi incontriamo una nuova deviazione sulla sinistra che conduce al Lido di Pisticci e che noi subito imbocchiamo. Il paesaggio è abbastanza simile a quello incontrato lungo la precedente deviazione, solo che in fondo ecco finalmente la spiaggia di nessuno. C'è sempre sì un po' di gente, ma a questo punto è ragionevole acconténtarsi e mettersi in grado al più presto di effettuare il sospirato varo.
Posteggiamo il 124 nei primi posti di un parcheggio riparato da un'apposita copertura di stuoie, che corre parallelamente alla spiaggia su un lato di una bislunga piazzetta; ed, estratti dallo stipato portabagagli pinne ed asciugamani, facciamo il nostro ingresso sulla spiaggia. Sono le 14.00.
La spiaggia, piuttosto ampia e soddisfacentemente deserta, presenta, perpendicolarmente al mare, una stretta e lunga pedana di listelle in legno che noi percorriamo fino in fondo anche se oggi con questo tempo non ci è data la possibilità di apprezzarne appieno la funzione difensiva per le piante dei piedi nelle giornate di massimo solleone, durante le quali solo ciantelle di amianto potrebbero resistere alla sabbia rovente.
Il mare, che anche se non c'è scritto, è lo Ionio, sembra abbastanza calmo: solo lunghe ondate fanno sì che il bagnasciuga possa mantenere l'appropriato termine, permettendo al tempo stesso con una certa approssimazione di individuare nel punto in cui s'increspano, il limite delle acque sicure; particolare quest'ultimo di una certa rilevanza soprattutto per noi di non provette capacità natatorie, specie in acque sconosciute.
Con lo sguardo fisso, quasi stravolto, davanti a sè, il Gianni continua intanto ad avanzare sulla spiaggia provando al pari dell'Ughino e di Alberto che lo stanno seguendo, una certa irrefrenabile emozione, che, man mano si avvicinano al mare, aumenta d'intensità. poi, fermatisi in un punto qualsiasi, ci cominciamo a spogliare raccogliendo tutta la roba in un unico mucchietto e distendendo gli asciugamani al sole - che poi non c'è - con la speranza che, riscaldandoci un po', ci possano mitigare in parte il freddo che giustificatamente già preventiviamo per quando usciremo dall'acqua.
In breve l'Ughino e il Gianni sono sul piede del tuffo, mentre Alberto, vicino alla roba, tituba ancora.
Trascorrono alcuni istanti e i due sono nell'acqua, che, dopo il rituale brividino, si rivela tiepida più dello sperato.
Intanto, mentre con le pinne ai piedi il Gianni e 1'Ughino si esibiscono in qualche bracciata e nei tanto desiderati sguazzii. Alberto, ancora vestito, osserva la scena dalla riva. Ad un certo punto però, invogliato forse dagli altri già beatamente a mollo, prende il coraggio a quattro mani e, messo così anche lui a nudo un poderoso fisico, si prepara al personale varo, che come era prevedibile viene forzatamente anticipato rispetto al programma dell'interessato, a causa di lunghe sventagliate d'acqua lanciate dall'Ughino e dal Gianni.
Con un occhio ad una leggera corrente che tende a spostarci verso sinistra, sì insomma verso Taranto - ma si fa per dire naturalmente - e con un occhio alla roba ammonticchiata e incustodita là sulla spiaggia, ci alterniamo per una buona ventina di minuti in brevi nuotate di poche pretese e in sottomarini rendez vous, senza tralasciare comunque l'occasione di prendere di sprovvista il vicino per rovesciargli addosso mezzo Mediterraneo, impresa che vien però subito replicata dal malcapitato a tutela del detto: occhio per occhio, dente per dente, naso per naso e così via.
Il tempo, benché tuttora minaccioso, sembra comunque intenzionato a non renderci ancor più problematica del previsto l'operazione asciugatura con una bella acquata. Intanto a proposito d'acqua, si sta che è una meraviglia; e il sapere che stiamo facendo il bagno nello Ionio ci entusiasma.
Ma purtroppo lo stomaco e la debolezza accumulata cominciano a farsi sentire e così, prima il Gianni e poi via via gli altri, riguadagnamo la terraferma e un po' infreddoliti abbandoniamo le sembianze di bagnanti per assumere quelle di asciuganti, stropicciandoci da tutte le parti per evitare il conseguente congelamento, che, se non altro, ci renderebbe quanto meno irrequieti per il fastidioso scalpellinare del bagnino costretto a toglierci in tal modo di dosso il blocco di ghiaccio in cui ci saremmo ritrovati contenuti.
Appena comunque la pelle d'oca ha cominciato ad appiattirsi, ci cingiamo intorno ai fianchi l'asciugamano e lasciamo la spiaggia. Raggiunto quindi il 124 con un languorino sempre crescente, mangiamo qualche biscotto per fermarci lo stomaco e risistemiamo nel portabagagli le pinne, pagando infine le consuete cento lire al posteggiatore. Poi, mentre il Gianni fa manovra, Alberto si preoccupa - da buon cuoco - di procurarsi l'indispensabile acqua per le paste. La faccenda sembra risultare in un primo momento alquanto laboriosa per la quasi totale assenza di acqua nella zona, ma per fortuna, grazie alla collaborazione del gestore del vicino barrettino, riusciamo a riempire la pentola delle paste, che vien posta dietro, tra le gambe dell'Ughino, con la superflua raccomandazione di evitare bruschi strattoni ed inutili dispersioni. Ripartiamo. Sono le 15.00.
Con i sedili protetti dai rispettivi asciugamani per non ridurre in una palude l'abitacolo del 124, ripercorriamo i vialetti di dianzi alla ricerca stavolta di un posto dove poter pranzare. E' una parola, però: sulla destra pinete e boschetti sono recintati; sulla sinistra il terreno è invece troppo aperto e privo di un qualsiasi riparo e perciò inadatto ad accendere il nostro fornellino. Superato poi con una certa cautela un ponticino di legno in un tratto un po' dissestato, adocchiamo sulla destra una casa piuttosto grande e dall'aspetto disabitato, che, dal momento che comincia anche a pioviscolare e che un tetto non ci farebbe sicché davvero schifo, prendiamo subito in considerazione. Per raggiungerla siamo costretti ad utilizzare una stradina abbondantemente coperta di sabbia che ci dà un po' di preoccupazione per un eventuale insabbiamento, tanto che preferiamo fermarci ancor prima di averla avvicinata. Conferiamo allora il compito di perlustrare l'obiettivo all'Ughino, il quale però, tornato poco dopo in l24, si dimostra molto poco entusiasta all'idea di pranzarvi dentro e una sufficiente giustificazione della sua presa di posizione si può intuire dal fatto di aver inavvedutamente pestato un ben poco allettante escremento. Rientrato in 124 dopo aver più di una volta strisciato per terra il piede incriminato, torniamo indietro e, ripresa la solita stradina, ci ritroviamo sulla statale.
A questo punto che cosa fare: si va a destra, a sinistra o a dritto? Optiamo per la prima soluzione percorrendo qualche altro chilometro e individuando ad un certo momento un ampio spiazzato lungo la strada, a mo' di area di parcheggio, che viene però scartato dopo un attimo di sosta per le disfattiste insistenze di Alberto, secondo cui è impossibile poter tenere il fornello acceso in un luogo così poco riparato. Riprendiamo allora la ricerca e poi, abbandonata la statale dopo aver scartato una seconda possibilità di alloggio in una casupola disabitata, questa volta però esageratamente pericolante, ci ritroviamo su strade interne che percorriamo in lungo e in largo, finché, imboccatane una più deserta delle altre,, ci fermiamo proprio nel mezzo di una sua contrada molto probabilmente senza sbocco con in fondo difatti il cancello di una fabbrica. Non sappiamo però in che posizione possiamo trovarci dopo tutti i giri pesca che abbiamo fatto, ma l'importante è l'essersi trovati finalmente d'accordo per il pranzo.
A dir la verità comunque, Alberto continua ad insistere nell'impossibilità di tenere acceso un fuoco con questo vento e specie così letteralmente in mezzo alla strada. Allora vien proposto ed attuato di mettere il 124 obliquamente lungo la carreggiata a mo' di paravento, cosicché, con l'ausilio anche del tavolino e delle valige, il vento non dovrebbe più infastidirci. E così pure Alberto.
Tirato fuori tutto l'occorrente, mettiamo l'acqua sul fuoco, che per ora sembra debba reggere, riparato com'è anche alle più forti raffiche di vento. Sono le 15.00.
In attesa del quotidiano "Bolle!", ci cambiamo le umide mutandine da bagno usufruendo, quale cabina, il sedile posteriore del 124. Si ripetono quindi gli usuali preparativi di rito, chiacchierando del più e del meno e controllando nervosamente con uno stecchino di tanto in tanto se la fiamma non si sia già spenta.
Ecco intanto imboccare la stradina da noi così incivilmente occupata, una 600 blu che dà tutta l'impressione di voler proseguire in questa direzione se non fosse per il 124 messo lì per lungo in mezzo alla sede stradale. Avendo così prontamente intuito le intenzioni di questo terzo incomodo e appena un momento prima che questi desse fragorosamente fiato alle proprie trombe da clacson facendoci vibrare in tal modo, oltre che i timpani, soprattutto i rispettivi sistemi nervosi, il Gianni è già al volante portando così indietro il 124 di quel tanto da permettere il libero passaggio dello scocciatore. Mentre poi ci raggiunge il sinistro abbaiare di un cane che saluta la 600 giunta nel frattempo presso la fabbrica, Alberto butta la quotidiane manciata di pasta come al solito unanimamente approvata nella sua quantità.
Qualche minuto di cottura, poi ha inizio l'operazione scolatura, a cui segue la conditura a base del sugo avanzato dalla precedente pastasciuttata e il rapido apparecchiamento - visto che son già passate addirittura le 16 - del poliedrico tavolino fatto tornare in posizione naturale.
Finalmente poi ci serviamo. E in breve esauriamo 1'abbondantue porzione di spaghetti.
Come secondo oggi c'è tonno. Siamo purtroppo costretti ad ingozzarlo senza pane, dal momento che non c'è stato tempo di comprarlo, ma nonostante ciò vien finito tutto. Stracciato così il piattini di plastica, ci buttiamo, dopo aver aspettato che anche il Gianni - sempre l'ultimo! - avesse ingerito l'ultima scaglia di tonno, sul cocomero dell'Amalfitana, che conclude così il pranzo. Fatta anche questa!
Qualche salutare emissione di aria malsana, poi in fretta cominciamo a riordinare. Il bagaglio viene riempito come al solito all'impossibile, mentre i residui del nostro lauto e fugace pranzo vengono raccolti in una della tante buste di plastica di nostra dotazione e molto civilmente depositati ai piedi di un albero. Effettuato poi il cambio della guida tra l'Ughino e il Gianni, rimettiamo in carreggiata il 124 e ce ne andiamo.
Ripercorso il viale che ci aveva condotto lì, ci accorgiamo di essere molto vicini alla statale e leggermente un po' più indietro rispetto all'incrocio per il mare utilizzato prima e che incontriamo di nuovo infatti in questo momento dopo un paio di chilometri.
A questo punto: giù verso Sud! Calabria, arriviamo!
La strada continua a costeggiare il mare, il quale specie in certi tratti, si rivela davvero notevole per la sua bellezza: uno dietro l'altro si rincorrono ampissimi golfi lungo i quali ecco stendersi tranquille spiaggette non eccessivamente vaste, ma, il che è importante, tanto, tanto deserte.
Per immortalarne una ci fermiamo adesso sul ciglio della strada facendo scendere Alberto e il Gianni, che, attraversata la strada, raggiungono un casottino, probabile casello ferroviario della linea ad unico binario che orla l'intero golfo di Taranto; e da qui sparano un paio di foto panoramiche sulle quali però per fortuna non potrà essere documentato un appestante puzzo di (mi dispiace, ma non si può dire). Una vera fetenzia! Si riparte.
A questo punto, dal momento che notorie località di una certa attrazione turistica non sembrano esistere lungo questo litorale, prendiamo in considerazione con l'ausilio della carta e della guida di Alberto, i castelli e le roccaforti che invece sembrano pullulare sull'intera fascia costiera.
E difatti dopo breve eccone uno. Si erge proprio lì sul ciglio sinistro della statale in dominante posizione sulla sottostante spiaggetta raggiungibile con una stradina in discesa che si apre a fianco del castello stesso.
Anche per poterci sgranchire un pochino, decidiamo sicché di compiere una breve sosta, riuscendo così a posteggiare il 124 lungo la discesa che porta al mare e su cui già altre persone sono in oculata osservazione del rudere in oggetto. Dalla guida e, in precedenza dal segnale turistico stradale, sappiamo che si tratta del Castello di Roseto: un castello non di enormi proporzioni ma abbastanza belloccio, appollaiato in strategica posizione sul mare. Ci sembra semmai un tantino trascurato, anche se proprio quegli squarci sulle mura e quei merli letteralmente traforati dal tempo e dalle intemperie, contribuiscono a far assumere all'insieme quell'aspetto strapazzato che, se non altro, ci comunica a mezzo della nostra fantasia movimentati periodi della sua storia.
C'è Alberto intanto che ci dice di voler tornare un attimo sulla statale per fotografare il rudere da una posizione più elevata; gli altri rimangono invece a cavalcioni del parapetto della stradina.
La spiaggetta ghiaiosa che fornisce un ottimo sfondo al castello, è caratterizzata da un minuscolo golfettino a forma di ricciolo, sul cui breve distendersi nel mare hanno preso posizione due impegnatissimi pescatori tutti intenti nel cercare per l'ennesima volta di sfatare il maligno detto con cui, a torto o a ragione, son sempre stati definiti dei bei cretini attaccati ad altrettante canne munite di lenza ed amo. Il tentativo - per la cronaca - non sembra però aver il successo sperato.
L'ipnotico e lieve risciacquio sulla sabbia di lunghe increspature - ecco intanto tornare Alberto - ci fa venire una gran voglia di fare di nuovo il bagno; ma il programmino che rapidamente e gustosamente ci stiamo profilando nella mente è quanto meno irrealizzabile. Né d'altra parte non ci sembra il caso di recriminare, data la preclusa possibilità dì aver potuto saltare il pranzo di oggi, né tanto meno di poter accelerare il rispettivo processo digestivo.
Il Gianni intanto punta ancora il proprio obiettivo sul rudere, ricorrendo come al solito all'assistenza di Alberto, che, previa il proprio esposimetro, gli fornisce tempo e diaframma - indicazioni da noi molto convenzionalmente definite "coordinate" - necessari per un'accettabile esposizione della pellicola.
Restiamo ancora qualche minuto seduti sul parapetto a commentare tra l'altro le tutt'altro che originali foto che un tizio, per altro apparentemente entusiasta delle proprie inquadrature, scatta una dietro l'altra alla fidanzata, poi riprendiamo posto in 124 e, fatta una strettissima manovra, torniamo sulla statale facendo sempre ancor più rotta verso Sud. Si parla un po' del più e del meno, dando ancora una volta un'occhiata alla guida di Alberto che ci indica un secondo castello nelle vicinanze, che quasi quasi, visto che è prestino e il tempo si è rimesso, potremmo annoverare nel nostro bagaglio turistico. Si parla comunque anche di vino e la proposta di comprarne un paio di bottiglie, che trova i suoi maggiori fautori nell'Ughino e nel Gianni, si concretizza attraversando un paesino il cui segnale di località ci passa inosservato. Fermatici davanti ad un ristorante, il Gianni scende in avanscoperta di macchina ed entra nel locale per stabilirne intanto il grado di varietà delle "cantine". Dopo qualche attimo, eccolo tornare raggiante e con l'Ughino rientrare di nuovo nel ristorante. La scelta di una bottiglia di vino locale, di gradevole confezione e di accessibile costo, si protrae per qualche minuto davanti ad un primo scaffale piuttosto fornito eppoi difronte ad un altro fra le cui bottiglie prevale alla fine il locale Cirò, di cui ne prendono una bottiglia a testa. Nel frattempo Alberto, abbastanza disinteressato alla spremuta di uva calabra, inganna l'attesa fotografando un camion stipato di cavalli bruni per nulla entusiasti della gita cui forzatamente prendono parte. Sistemati quindi i due Cirò dietro sotto il sedile di sinistra, riprendiamo la marcia ritrovandosi dopo breve alle porte di Trebisacce, dove secondo i programmi trascorreremo la notte.
Ci vien frattanto in mente, perbacco!, di aver saltato quell'altro castello di cui volevamo prender visione dianzi; al che, dato che non varrebbe la pena tornare indietro, decidiamo in compenso di visitare altri ruderi, quasi certamente analoghi, che la guida - sempre lei - ci indica nei paraggi di Trebisacce. Lasciamo così la statale in prossimità di un curvone quasi a 90 gradi e, già invischiati in un nuovo giro pesca, ci dirigiamo attraverso strade sempre più sconnesse verso il mare.
Giunti sul lungomare, proviamo a domandare ad un indigeno la strada per raggiungere queste presunte rovine, che dovrebbero trovarsi però nella parte alta del paese; abbastanza meravigliati ci sentiamo rispondere che i ritrovati archeologici a cui accennavamo hanno ben poco da offrire dal punto di vista turistico, giungendo addirittura così a sconsigliarci la preventivata escursione. Bah! Se lo dice lui che è di qui! Ci facciamo allora indicare il camping a cui siamo diretti, il quale, guarda caso, si trova proprio sul lungomare.
Sono le 18.45. Entrati in un cancello ben segnato dall'insegna "Camping Vittoria", cominciamo a percorrere un vialino interno scartando subito la zona di destra in cui difatti trovano spazio i bungolows che non ci interessano affatto e costatando al tempo stesso il quasi tutto esaurito in ogni ordine di posto dell'intero campeggio. Ci fermiamo in fondo presso la direzione, dove Alberto s'incarica di sbrigare le consuete pratiche. Ottenuto il nulla osta, andiamo alla ricerca, anche oggi tutt'altro che semplice, del quotidiano buco dove poter passar la notte, proseguendo sulla destra della direzione e ritrovandosi in uno spiazzato, dove buona parte del ghiaioso e duro terreno è già abbondantemente occupato da svariate tende e roulotte, mentre gli spazi ancora liberi sono stati impiegati da un sostanzioso bucato ordinatamente steso al sole, ma troppo ingombrante e poco razionalmente sistemato. Data un'occhiata anche ad un secondo spiazzato situato dietro la direzione e i servizi, ma anche questo già semicompleto, decidiamo di fare una più oculata ricerca nella parte migliore del campeggio, quella davanti vicino al lungomare. Sempre col 124 torniamo così davanti alla direzione ed imbocchiamo quindi una stradina laterale rispetto al vialino d'ingresso, accorgendoci però, man mano che andiamo avanti, di quante persone hanno avuto la nostra stessa idea di pernottare stasera a Trebisacce. Poi qualche indicazione ricevuta da un paio di colleghi già fortunatamente sistemati, ci convincono a tornare sul piazzale di dianzi, dove una volta arrivati cominciamo a rassegnarsi e a cercar di mettersi d'accordo sul luogo dove piantare la tenda. Esiste una sola alternativa: o sotto i panni stesi o sul dietro quasi sotto ad uno scheletro di costruzione in cemento armato, sventrata per chissà quale ragione, la quale non sarà neppure pericolante, ma insomma... Ci sediamo allora all'estremità di un lungo tavolo che potremmo definire la mangiatoia del camping, perché probabilmente destinata agli spettabili clienti, e qui discutiamo ancora il da farsi chiedendoci tra l'altro se sia proprio il caso di cercare di piantare i nostri già malridotti picchetti in questo durissimo terreno e renderli ancor più inutilizzabili. Ancora per niente convinti, torniamo perciò a piedi nella parte "bene" del campeggio speranzosi di aver stavolta miglior fortuna. E difatti, spingendosi al di là di una piattaforma di cemento che non poteva essere superata con la macchina, scopriamo un altro spiazzatino abbastanza poco utilizzato, che ci sembra finalmente ottimo per le nostre esigenze.
Messo così simbolicamente il tradizionale cappello di occupato, il Gianni torna a prendere la macchina e, mentre sta passando davanti alla direzione, è attratto da un 1100 Fiat di color marrone, vecchio quanto il cucco, che dopo accertamenti inconfutabili riconosce in quella di suo cugino Alessandro, in gita, anche lui, nel Sud. Raggiunto il 124, fa manovra e, giunto di nuovo davanti al familiare rudere locomotivo, vi appone, uso contravvenzione, un messaggio personale in modo da mettere al corrente della nostra presenza e della nostra posizione il cugino Alessandro non appena si farà vivo nei pressi della tenda di appartenenza.
Uscito quindi sul lungomare, il Gianni rientra successivamente in camping attraverso un secondo cancello che permette appunto di accedere anche con le macchine in questa zona resa altrimenti irraggiungibile a causa di quella piattaforma che già dianzi ci aveva bloccato. Sistemato poi il 124 in fondo allo spiazzato sulla destra, cominciamo a scaricare lo strapieno baule, mentre il Gianni comunica agli altri la straordinaria scoperta che ha fatto.
Sorge intanto a questo punto una sentita discussione fra i tre per un'equa distribuzione dei compiti. Tutti ovviamente cercano subito di candidarsi al montaggio della tenda, che, se non altro, farebbe risparmiare l'incresciosa rigovernatura dei cocci d'oggi, ma naturalmente è inutile tentar di trascurare questa operazione, dal momento che a pensarci bene risulterebbe poi in fondo più stomachevole la seccatura di dover nei prossimi giorni cucinare e mangiare in pentole e con posate ricoperte da successivi strati di sugo, unto e patine varie, che permetterebbero senz'altro una rigorosa ricostruzione dell'intero diario culinario del viaggio. L'Ughino e il Gianni sicché, considerato il pro e il contro della faccenda e resisi conto dell'irrisolutezza con cui non vuol cedere Alberto già d'altra parte di turno stamattina -, si avviano lemmi lemmi, con in bocca irriferibili mormorii e tra le mani posate, pentole e detersivo, in direzione del lavabo, che si trova sistemato al centro del camping.
Altri campeggiatori son qui che stanno assolvendo questa non poco penosa sofferenza, cosicché mentre il Gianni tiene il posto in coda, l'Ughino, approfittando dell'attesa, raggiunge i servizi situati sulla destra della direzione.
Per l'appunto c'è un lavabo solo in questo settore: oltre sicché a perder tempo, porco boia!, ci tocca anche ad assistere - come se la nostra non ci bastasse - alla lavatura delle altrui masserizie.
Ed ecco intanto tornare l'Ughino, mentre finalmente si presenta il turno delle nostre pentole, che a forza di ripetute strofinate a base di sapone in polvere cerchiamo di rendere di nuovo utilizzabili, anche se, per esempio, l'insalatiera di plastica continua a trattenere lungo le pareti uno strato rossastro di sugo, che non ne vuol sapere di venir via. Procedendo quindi alla risciacquatura, diamo modo ad una bambina di riempire le proprie bottiglie d'acqua senza dover aspettare i nostri comodi, permettendo successivamente per la stessa ragione alla signora del vicino caravan di lavare brevemente tre o quattro pomodori per la cena. Qualche parola di convenienza e subito possiamo inequivocabilmente capire la sua provenienza: Firenze, 'un c'è dubbi, via! Si scambiano due chiacchiere a cui interviene anche il marito che ci illustra tra l'altro il suo itinerario e ci espone le sue impressioni sulla scarsa organizzazione turistica dei campeggi meridionali, poi lo sgocciolio dell'ultima posata ci permette di liberarci galantemente del bottone già ben bene attaccatoci, senza che abbia raggiunto un eccessivo grado di insopportabilità.
Accatastate così le stoviglie e richiuso il sacchettino di detersivo, torniamo presso la nostra postazione, dove Alberto ha già prontamente provveduto ad alzare la tenda, stranamente però un po' sbilenca, e a sistemarvi a fianco tavolino e seggioline.
A questo punto, visto che non c'è altro da fare, non resta che cominciare a preparare la cena decidendo per l'occasione dì sperimentare le mai assaggiate minestre in scatola portate in gran quantità da Firenze. Ecco apparire intanto dall'adiacente spiazzato il cugino Alessandro appena tornato dalla quotidiana escursione, che, sapientemente indirizzato dal messaggio del Gianni, ha subito trovato la nostra postazione. Commentiamo la incredibile coincidenza che ci ha fatto incontrare, poi ci diamo appuntamento a dopo per trascorrere la serata insieme.
Acceso allora il fornellino e messa l'acqua a bollire, cerchiamo di utilizzare questi minuti in attesa di cenare buttando giù qualche riga per la letterina a casa, che stasera anche Alberto ed il Gianni reputano necessaria in luogo delle consuete e stringatissime cartoline. Si chiacchiera anche del più e del meno passando pure in rassegna i vicini di tenda di stanotte, che, stando alla mastodontica tenda che ci rimane quasi di fronte, devono essere in gran numero. Sul nostro stesso lato c'è poi una piccola Canadese 2 posti occupata da una coppia probabilmente amica della dirimpettaia tribù.
Intanto il cuoco Alberto provvede a rovesciare il polveroso contenuto della scatola Knorr nella pentola provocando quasi all'istante un fetore insopportabile, che oltre a renderci preoccupati per le eventuali e in conseguenza poco ortodosse reazioni dei nostri vicini - tanto è appestata l'aria! - ci impressiona un tantino per il fatto che, se tanto mi dà tanto, il gusto della minestra dovrà essere quanto meno rivoltevole.
Alberto scopre intanto, mentre è lì intorno al fornellino, che la tenda è stata piazzata proprio nei pressi di un rigoglioso formicaio in piena attività. Per annullare allora la disgraziata eventualità di dover dividere il letto con qualche centinaio di esponenti di questa informicolata collettività, ed esser magari costretti a portarseli a zonzo per l'Italia, Alberto non trova di meglio che cercare di estinguere la colonia rovesciando nel formicaio, uso olio bollente, un po' del non meno pestifero brodo nel frattempo quasi pronto. Saranno le 20.00.
Si apparecchia e in breve, rinnovando un lungo romaiolo, Alberto ci scodella con concepibile entusiasmo da parte di tutti e tre il denso maleodorante minestrone. Con un certo sforzo cominciamo ad assaggiarlo, ma dopo qualche cucchiaiata solo 1'Ughino, non schifato al cento per cento, continua a sorbirsi la pietanza, giungendo anzi più di una volta a contraddire - che coraggio! - le osservazioni circa la sua immangiabilità avanzate dal Gianni e da Alberto.
Anche di faccia sotto la veranda del tendone si sta consumando la cena, ma, da quanto possiamo intuire, sembra che i nostri vicini si siano serviti molto più prelibatamente di noi, allietati tra l'altro durante la libagione da una simpatica musica di sottofondo, che noi solo in minima parte riusciamo a godere. Si registran sicché fra i nostri ranghi scherzose invidie nei confronti della loro più decente cena e battute varie sulla nostra fetida brodaglia, le quali hanno in fondo quale unico scopo quello di attaccar discorso con i nostri vicini, che invece sembra prendano sul serio le nostre lamentele, tanto che alla scenica richiesta del Gianni di poter aver almeno un tozzo di pane, si fanno in quattro per darcelo davvero. Ci preoccupiamo allora subito di illuminare i premurosi colleghi circa il carattere di scherzo rivestito dalla domanda, rifiutando quindi il cortese aiuto. Troppa sarebbe stata l'umiliazione.
Si passa al secondo. La carta per stasera prevede un paio di formaggini a testa, ma come c'era d'aspettarsi, l'Ughino rifiuta il menù consigliato rifacendosi alla meno peggio su qualche commestibile aggeggio preparato lì per lì e in relazione ovviamente alle nostre attuali riserve mangerecce.
Si conclude quindi con la frutta terminando il superstite cocomero - davvero pochino - di cui, facile ad immaginarsi, non ne rimane altro che l'immangiabile buccia.
Stracciati a questo punto i piattini di plastica, prepariamo il tegamino del caffè e tiriamo le graziose tazzine di plastica. Poi, visto che anche nel tendone di faccia hanno terminato di cenare e se ne sono andati tranne un solo componente della compagnia, troviamo di buon gusto invitarlo a prendere una tazzina di caffè da noi, ma l'invito di Alberto, affacciatosi un momento nella tenda, è seguito da un inaspettato rifiuto da parte dell'interessato, quasi l'avessimo offeso nell'accorgerci dell'evidente sganciamento operato dalla compagnia nei suoi confronti. Boh! Pazienza.
L'acqua è di nuovo a bollire sul fornellino, allorquando dal di dietro ecco riapparire il cugino Alessandro, che, almeno lui, come promesso, ci farà un po' di compagnia. La conversazione prende subito vigore e così illustrandoci i rispettivi itinerari compiuti, veniamo a parlare anche della Sila su cui lui già è stato qualche giorno fa e che invece costituisce per noi il clou della tappa di domani. La strada, dice, è tutta curve, ma tutto sommato vale la pena di soffrire un pochino per la strada piuttosto che rinunciare a godere il notevole spettacolo naturale che offre. Beviamo la tazzina di caffè, abbastanza accettabile visto che è di quello in bustine, e facciamo altre quattro chiacchiere parlando tra l'altro dell'organizzazione del campeggio Vittoria, dove lui ha la base con la sua compagnia, dei rispettivi programmi per il futuro, quali neo ragionieri, e addirittura della strana allergia dell'Ughino per i formaggini, che non ha più toccato da quando un allarmistico referto d'analisi condotto in merito dalla competente fidanzata non lo pose di fronte all'amletico dubbio di continuare a pascersi dei pur sempre mangiabili formaggini o se non piuttosto di rinunciarvi e avallare incondizionatamente, a prova della propria fedeltà, la tesi elaborata dalla provetta analista.
Giunge quindi il momento di salutarci.
Scomparso il cugino Alessandro, pensiamo allora di trascorrere la rimanente serata giocando a carte e, dal momento che siamo in tre, non troviamo ancora di cattivo gusto invitare il solitario vicino di tenda a cui non piace il caffè, di venire a fare un pokerino con noi. Non l'avessimo mai fatto! Alla nostra garbata richiesta di compagnia, si ripete analogamente a prima una negativa risposta, che risulta ancora una volta poco chiara e convincente. Mah, vorrà dir che giocheremo col morto.
Preparate allora rudimentale fiches con pezzettini di carta, facciamo qualche mano, poi decidiamo, visto che è già buio da un pezzo di riordinare la base ed andare a rigovernare; e sono ancora 1'Ughino e il Gianni a ritrovarsi tra le mani con indicibile gaudio pentola e pentolino del caffè con bicchieri e posate. Di nuovo al lavabo pubblico vengono scambiate altre due parole con la socievole signora fiorentina, poi, mentre il Gianni fa ritorno alla tenda, l'Ughino va a comprare qualche cartoline.
E’ il momento della corrispondenza. Seduti al tavolino e alla luce del lampione che ci ritroviamo proprio qui davanti, mandiamo avanti cosi le nostre accorate letterine.
Poi verso una cert'ora, saranno le 23 passate, l'Ughino e Alberto si preparano per la notte, lasciando il Gianni, povero pazzo, a scrivere ancora. Entrati poi in tenda, Alberto, dopo essersi sincerato della maggiore età raggiunta dall'Ughino, si esibisce in uno sconcertante striptease di tutt'eccezione imperniato sulla voluminosità della propria pancia. L'Ughino, dice, è sbiancato in volto.
Il Gianni raggiungerà gli altri solo dopo poco mezzanotte, allorquando, dopo aver continuato a scribacchiare - che cosa non si sa, eh! anche alla fioca luce della torcia dell'Ughino, dal momento che alle 24.00 avevano spento il provvidenziale lampione, aveva concluso pure una non poco avventurosa incursione ai servizi attraverso un camping completamente al buio.