13 agosto - Giorno di sosta a Praia a Mare

Il riflesso giallognolo del tettino della tenda e una certa afosità che già comincia a farsi sentire qua dentro, non ci permettono neppure stamattina di dormire esageratamente, benché tutto sommato, essendo già le 8.15, è bene non perdere altro tempo col pretesto di riposarci.
Rallegrati comunque dal pensiero che stamattina finalmente non ci tocca compiere la faticata di smontare la tenda, utilizziamo subito i servizi e successivamente il rubinetto lì sulla stradina per il mattutino risciacquio generale, che come al solito provoca per terra uno strato di schiuma, destinata a scomparire un po’ alla volta solo con lo scorrere dell’acqua. Poi, dal momento che è in programma stamattina di fare vita di spiaggia, indossiamo direttamente gli slip da bagno munendosi inoltre delle preziose pinne e degli asciugamano.
Usciamo di camping che sono le 8.45; attraversiamo la stradina ghiaiosa ed entriamo sulla spiaggia che si stende sullo stesso livello per un cencinquanta metri. C’è poca gente: quasi punta. Poco prima del bagnasciuga, reso tale da lunghe e pastose onde, che dopo essersi increspate ad una decina di metri dalla riva, si stendono schiumeggianti tra sassi e ciottoli, depositiamo ciantelle e magliette in uno stesso punto per costituire la nostra base, sentendoci subito in grado di fare un primo bagno.
Sono le 9.00. Il primo a buttarsi è 1’Ughino, che, riaffiorato dopo il tuffo di esordio, comunica agli altri la temperatura dell’acqua, che pur non essendo prossima all’ebollizione, è soddisfacentemente tiepida. Dopo qualche titubanza, si tuffa pure il Gianni, seguito a ruota anche da Alberto. In effetti, dopo la prima sensazione di freddo, si sta che è una meraviglia. Si rinnovano qualche bracciata in lungo e in largo (ma non a largo!), un paio di immersioni e qualche tentativo di surf non coronato però dal successo voluto a causa delle onde che si smontano quasi subito; poi uno alla volta usciamo dall’acqua, distendendosi quindi sul poco soffice strato di sassi grossotti, che permette però di godere uno splendide bagno maria oppure spaparanzandosi sulla sabbia con l’intento di acquistare una più appariscente tintarella.
Intanto la spiaggia comincia a pullulare di persone, di cui alcune attrezzatissime con tanto di sdraio ed ombrellone, che evidenziano quella strabocchevole smania di mare e di sole, che però accomuna un po’ tutti. Sulla nostra destra c’è pure una famiglia di tedeschi, i cui due componenti più giovani - un "pampino" e una "pampina" - sono già da un pezzo in acqua con un materassino e con pure una certa invidiabile confidenza con il mare viste le loro continue evoluzioni, compiute anche piuttosto lontano dalla riva.
Certo, che esser qui sembra un sogno: senza far niente, con tutto ciò di impegnativo da fare brillantemente alle spalle e con questo sole e questo splendido mare che non ci stanca di affascinarci. Sulla sinistra poi, piuttosto distante, si profila imponente sullo sfondo azzurro del mare l’isola di Dino, per la cui preventivata escursione non ci sembra che esistano concrete possibilità di realizzazione.
Per ora ci contentiamo difatti di rituffarci saltuariamente nell’acqua per rinfrescarsi un po’ e di tornare quindi a sdraiarsi di nuovo sulla rena in un dolce indisturbato far niente: un’occhiata, tanto per prendere in considerazione la silhouette di due ragazze in bikini o per assistere alle manovre di una signora vicino a noi, in due pezzi arancione e piuttosto ben fatta, che non ripara nel tenere a bada un agitato marmocchio senza requie, eppoi tornare in una rilassante sonnolenza ai raggi di questo carissimo sole, che finora non ci ha mai tradito.
Verso le 11.00 decidiamo di lasciare la spiaggia ritornando così lemmi lemmi in campeggio anche per permettere a qualcuno di fermarsi lo stomaco con qualche biscotto poiché siam digiuni da ierisera. L’ora di  pranzo poi si avvicina sempre più, per cui Alberto va in direzione per vedere se esiste uno spaccio dove potersi rifornire, ma una volta tornato presso la tenda annuncia che occorrerà andare a Praia per comprare qualcosa di mangereccio. Si stila così a richiesta degli interessati, una lista di generi di prima necessità da comprare annotando: sei panini, un po’ di pomodori, qualche albicocca o susina, un etto di burro e, per il secondo ma a seconda di cosa è possibile trovare, carne in scatola, preferibilmente al prosciutto, würstel, una scatoletta di trippa oppure sgombri sempre in scatola. L’alto compito di fare la spesa è affidato al Gianni, mentre l’Ughino e Alberto decidono di rimanere presso la tenda per metter su l’acqua per le paste in modo da avvantaggiarsi.
Il Gianni esce in 124 dal camping eppoi, ripercorse a ritroso le varie stradine più o meno sterrate - guarda: là sulle spiaggia c’è una Giulia che si è stupidamente insabbiata! - raggiunge la statale fermandosi poco dopo davanti ad un ortolano situato sulla sinistra sopra il ciglio della strada, che si raggiunge attraverso una decina di gradini. Raccapezzati facilmente così i pomodori da condire e mezzo chilo di susine, il Gianni risale in 124 e, dal momento che non ci sono altri negozi nei più vicini paraggi per poter completare la spesa, raggiunge Praia a Mare, dove adocchia un supermercato in cui s’incunea velocemente. Passati in rassegna tutti i reparti, ne esce quindi con qualche etto di pane casalingo, tre bustine di würstel, il burro, un paio di scatolette di sgombri, che nel complesso dovrebbero costituire anche una discreta scorta per i prossimi giorni, e sei cartoline con i relativi francobolli per la consueta corrispondenza.
Fatta manovra, ripercorre quindi la statale e la successiva deviazione rientrando di nuovo in camping a mezzogiorno passate. Raggiunta però la tenda scopre 1’Ughino e Alberto placidamente seduti sulle seggioline in oziosa conversazione senza per altro aver preparato niente di quanto avevano promesso. Causa della loro forzata inattività il fatto che le pentole erano rimaste in macchina e quindi, non trovando ragionevole utilizzare il pur capace cappello di Alberto, finendo magari col rovinarlo nel tentativo di portare l’acqua ad ebollizione, dopo aver magari patito pure le pene dell’inferno per poter tappare i buchi dell’areazione di cui è provvisto, si erano messi ad aspettare il Gianni. Per l’imprevisto inconveniente, ci buttiamo allora sotto per recuperare il tempo perduto, anche se in questo momento ci troviamo condizionati dal fornellino, che, come si sa, ha poca potenza, benché comunque, ponza, ponza, ci serva puntualmente ogni giorno un bel pentolone di paste, la cui dose anche oggi sembra piuttosto aumentata.
Sono le 13.30. Imbandito il desco tra l’alberino e la tenda appena conclusasi la veloce catena di scolamento, Alberto perfeziona le beneamate pastasciutte con il relativo condimento, sulla cui procedura però il Gianni sembra abbia qualcosa da ridire, in quanto preferirebbe che il formaggio vi fosse cosparso in un secondo tempo una volta servite nel piatto, invece che venir interamente rovesciato nell’insalatiera e completamente amalgamato con gli spaghetti stessi. Alberto è d’altra parte irremovibile nella sua teoria che attribuisce alla migliore cucina, cosicché il Gianni, pur cercando di aggrapparsi ad un dogmatico "de gustibus non disputandum", non gli resta che mangiare in silenzio le pastasciutte che il reazionario convento gli passa, anche se risultano anche in questo modo senz’altro buone.
Sopito il battibecco, si passa al secondo ispirato oggi alla più tradizionale cucina germanica, che ha appunto nei würstel una delle più gustose applicazioni. Da rapidi calcoli costatiamo che ne toccano tre a testa e la razione ci sembra abbastanza sostanziosa. Per contorno ci serviamo invece i pomodori conditi e in precedenza accuratamente lavati, mentre concludono il lauto pranzo un paio di susine.
A questo punto, nonostante la decente mangiata appena fatta e il caldo piuttosto insistente che con lo stomaco pieno favorirebbe oltremodo un saporito pisolino, troviamo la forza di rigovernare subito i pentoli e di riordinare un po’ la base, preparandosi quindi ad uscire di camping per trascorrere 1a serata a Praia.
C’è, a proposito, anche da telefonare a Firenze stasera. Oggi tocca al Gianni. Speriamo che da qui si possa comunicare in teleselezione anche se qualche decina di minuti di attesa non ci intralcerebbero eccessivamente stasera.
Raggiunta Praia in 124 - guida il Gianni -, ci dirigiamo verso il mare avvistando quasi subito un bar dotato a quanto pare di telefono pubblico, All’interno ci accorgiamo di non essere i soli ad avere necessità del meucciano apparecchio, visto che numerose persone cingono d’assedio una disperata centralinista che con una certa stizza soprattutto per l’impazienza della clientela, prende nota delle più disparate località per cui è richiesta la comunicazione, per poi smistarle sui vari apparecchi a sua disposizione. Già rassegnati a dover rispettare anche noi la nutrita coda già in corso di formazione, chiediamo alla telefonista di mettere in nota anche Firenze, ricevendo però la sollevante precisazione che può essere chiamata direttamente a mezzo della teleselezione con quel telefono lì sulla sinistra dell’ingresso. Anche qui comunque ci sarebbe da attendere un pochino, se non fosse per il primo che ha però in questo momento concluso la sua telefonata e per il secondo, una coppia, che però poco dopo ci lascia il posto per aver ricevuto il segnale di occupato dall’apparecchio dell’utente desiderato. In breve tempo così oggi siamo in grado di trasmettere a casa il nostro periodico bollettino d’informazione. Composto il prefisso e il numero di casa, il Gianni è all’istante in contatto con sua madre e la rapidità con cui à stato possibile mettercisi lo sconcerta alquanto. La conversazione si dilunga per qualche minuto: il tempo cioè di comunicare le reciproche condizioni di salute e la nostra attuale posizione, di rassicurare che qui non fa tanto caldo, mentre invece è un bollore da scoppiare, e di arrivare quindi ai saluti e all’affrettata chiusura della comunicazione dettata anche da motivi economici, che invece risultano poi ingiustificati, poiché la spesa è di sole 280 lire. Abbiamo però la vaga sensazione che la telefonista con tutto quel suo daffare, ci abbia scambiato per quel tizio, che magari voleva telefonare al piano di sopra. Dalla telefonata abbiamo tra l’altro appreso che, dice, di posta non è arrivata punta - ed è comprensibile, dato il periodo di ferragosto -, per cui a questo punto ci sembra superfluo continuare ad inviare cartoline e lettere rassicuratrici dal momento che, forse, c’è il caso di arrivar prima noi di loro. Una preoccupazione di meno così.
Usciamo soddisfatti dal locale e, dal momento che questo bar non ha qualche tavolino dove potersi sedere, ne andiamo alla ricerca di un altro, raggiungendo con la macchina la statale, dove la posteggiamo di nuovo in direzione Sud. La passeggiata a lato riservata ai soli pedoni che abbiamo già notato ieri, è anche oggi affollata da molte persone e numerose bancherelle disposte ai lati del vialetto una dietro l’altra. Tutta la messa in scena ci interessa e decidiamo così di fare una giratina tra i vari venditori ambulanti che espongono ogni varietà di merce: si parte con articoli casalinghi d’ogni sorta, per passare al vestiario, continuare con i dischi e concludere poi, tra altri venditori di quadri, fiori e via discorrendo, con gli articoli da regalo, i souvenir e i ricordini di Praia. L’occasione di poter raccapezzare ancora qualcos’altro da portare a casa viene prontamente sfruttata dall’Ughino e dal Gianni, acquistando due collane abbastanza originali, formate da un comunissimo collare di bigiotteria intercalato però da piccole conchigline cilindriche e, quale pendaglio, da due conchiglie molto più grosse e piatte unite l’una all’altra per il bordo ed incise in modo da far rassomigliare il tutto ad una maschera religiosa africana.
Mentre con la bustina in mano delle collane e un principio di capogiro per tutta la roba esposta, c’incamminiamo per ritornare indietro verso un bar che presenta su un tratto di marciapiede recintato da piante le richieste sedie e tavolini, 1’Ughino, che canterellava distrattamente "Permette, Signora", è improvvisamente abbacinato dalla visione di una ragazza, alta, bbbona, in bikini marrone e maglietta blu, per il cui splendore sembra che venga meno, tanto che, rallentando all’istante il passo, riduce gradatamente al tempo stesso il volume e il ritmo del ritornello accennato, richiamando così su tanta magnificenza anche l’attenzione degli altri due, che rimangono altresì non meno choccati. Incrociata la ragazza, ci giriamo istintivamente per goderne appieno la visione del retrotreno, lasciandoci andare nello stesso tempo nei più lascivi commenti che la circostanza inevitabilmente suggerisce.
Scomparsa tra la folla, continuiamo lentamente a camminare raggiungendo quindi il bar e sedendoci ad un tavolino, dopo aver ordinato le tre giornaliere birre. Sono le 15.00.
La serata subito non si preannuncia però molto vivace né animata. La conversazione langue - ecco intanto arrivare i tre boccali i birra - e la mancanza di compagnia ci demoralizza e ci avvilisce, mentre il continuo guardarsi intorno finisce dopo breve per diventare un’ossessionante ripetersi di cose già viste e considerate e di gente che col suo andirivieni tende piano piano a non interessare più e a risultare insignificante. Ci si annoia, insomma.
Tanto per far qualcosa, Alberto gettona nel vicino jue-box tre dischi, mentre c’è chi prova a sperimentare il più comodo dondolo lì sulla destra, che riscuote a turno piuttosto successo da tutti e tre. Non permette però altro, a pensarci bene, che accentuare col suo ritmico ondeggio la smania di cui siam pregni.
Appena il terzo disco di Alberto sfuma, è la volta del Gianni ad imporre agli altri le proprie preferenze cenzonettistiche, mentre c’è chi già cerca di distrarsi in altro modo, facendo ingoiare qualche cinquantino al flipper lì dentro al locale, scatenando all’istante la prevedibile competizione sul maggior punteggio che ciascuno riesce a totalizzare. Torniamo poi di nuovo al tavolino.
I boccali di birra sono stati scolati già da un pezzo.
E tra poco terminerà pure l’ultimo disco del Gianni.
Mamma , che noia!
Ma ecco che all’improvviso fuoriesce dall’insignificante massa di gente la ragazza di dianzi, sì quella col bikini marrone. L’attenzione è ancora una volta concentrata su di lei. Entra in quella stradina a fianco del bar e chiama qualcuno che deve essere sulla terrazza proprio sopra le nostre teste. Poi entra nell’ingresso dell’abitazione. Poco dopo eccola riuscire stavolta con al guinzaglio un cokerino. Si riterrebbe opportuna qualche battuta d’esordio con 1’ammiratissima ragazza, ma non arriva. Ci limitiamo infatti solo a seguire di nuovo il suo simpatico ancheggiare, mentre, dopo un attimo di incertezza, si riconfonde tra le sempre più uguali persone, instancabilmente ambulanti nel vialetto.
Per distrarsi a questo punto, sopito qualche altro commento, 1’Ughino gettona altri tre dischi - e siamo a nove -, mentre ancora seduti al tavolino cominciamo sempre più a dimostrare una certa comune riluttanza nel dover trascorrere pure domani qui, con un programma più che deprimente visto l’odierno andazzo da dover sorbirci di nuovo. Tanto più che la giustificazione di questa preventivata sosta di due giorni, da ricercarsi nella presunta stanchezza, non ci sembra debba sussistere più, poiché sinceramente ci sentiamo a parte tutto molto vispi e dispostissimi a continuare a macinare senza sforzo le centinaia di chilometri che ancora ci aspettano. Ci pare così intelligente sopprimere il secondo giorno di riposo previsto per domani e partire direttamente domattina per Paestum.
Passano ancora qualche decina di minuti in esasperante trascinarci da una sedia all’altra per finire poi a turno sull’ondeggiante dondolo, poi decidiamo di levarsi da questo bar dove ci siamo stati anche troppo. Son le 17.00.
C’incamminiamo di nuovo per la passeggiata soffermandoci ancora una volta presso ogni bancherella, notando tra l’altro stavolta un omino sulla destra che, organizzata su un piccolo banco un’arrangiatissima roulette, alimenta le speranze di vincita di un gruppetto di avventori radunatisi intorno. Incuriositi, ci soffermiamo anche noi. Nell’estrazione dei numeri, rappresentati a colori su un incerato, la pallina della roulette è sostituita da una lancetta dalla estremità flessibile, che, ruotando su un’asse posta al centro di un cerchio dalla circonferenza suddivisa da lunghi sporgenti chiodi, in tanti settori numerati, finisce per indicare il numero per quella volta sorteggiato, corrispondente al settore in cui con l’esaurirsi della forza d’inerzia acquistata dopo un’adeguata spinta iniziale, va alla fine ad arrestarsi. Le puntate dei giocatori sono sempre piuttosto modeste - nell’ordine di cento, duecento lire - e di conseguenza naturalmente anche le vincite non hanno la pretesa di far certo concorrenza a quelle del Casinò di Montecarlo. Assistiamo a più di una giocata. Poche però sono le vincite dei concorrenti, mentre invece l’omino, brancicando continuamente una manciata di monete da cento lire, incassa il più delle volte.
Continuando a passeggiare, raggiungiamo intanto la piazzetta là in fondo dove la statale fa quella famosa curva. Sulla sinistra c’è un negozio di articoli di artigianato che prendiamo in considerazione con una veloce carrellata, per noi riuscirne di lì a poco, dopo aver ancora una volta costatato di come davvero il mondo sia piccino, stando alle tante cianfrusaglie già viste ad Alberobello e sulla Sila e che anche qui ritroviamo offerti invece - si pensi un po’ come prodotti del più. locale artigianato. Bah!
Proseguendo sempre verso Nord, incontriamo poi una tabaccheria dove prendiamo qualche cartolina, le ultime del viaggio, permettendo pure ad Alberto di rifornirsi di qualche piu economico pacchetto di Nazionali visto lo straordinario calo delle Muratti portate di scorta da Firenze. Un centinaio di metri più su incontriamo poi un supermercato in cui acquistiamo a testa una bottiglia di vino calabrese da portare a casa, che però è senza dubbio molto meno prezioso nella sua autenticità di quello preso ieri sulla Sila. Comunque.
Torniamo indietro. Passati davanti all’edicola dei Giornali, Alberto prende la Domenica del Corriere e il Borghese, poi, imboccato il viale del mercatino, ci fermiamo un po’ davanti alla bancarella dei dischi, dove il Gianni ha occasione di vedere in vendita alcuni 45 giri con i discorsi del Duce, mentre, proseguendo, Alberto sembra più attirato da una fetta di noce di cocco, a cui però, non essendo appoggiato dagli altri, rinuncia quasi subito.
Abbiamo in programma adesso, visto che domani leviamo le tende, di andare a visitare un santuario poco fuori Praia, nell’interno.
Alberto intanto attraversa la strada e va ad osservare la vetrina di un negozio di fotografia. Ci ritroviamo poi al 124.
Il Gianni aggiorna il diario mentre gli altri scorrono i giornali comprati, poi si parte. Giriamo alla prima contrada a destra verso il mare e, dopo qualche informazione, torniamo sulla statale, che attraversiamo per imboccare quindi una stretta stradina che poi esce fuori dal paese in direzione del santuario. Passiamo al di sotto di un cavalcavia ferroviario cercando di evitare due grosse pozze d’acqua giallastra che occupano l’intera sede stradale, poi, quando la strada comincia a salire lungo il fianco del rilievo, ecco avvistare sulla destra una lunga scalinata, che deve portare senz’altro al santuario.
Posteggiato così il 124 tutto inclinato su un fianco a ridosso della parete rocciosa in modo da permettere il libero transito di altre eventuali macchine, cominciamo lentamente a salire la gradinata e la prima cosa che ci dà nell’occhio è una coppia che ci precede di qualche decina di scalini, il cui elemento femminile, mostrando una ridottissima minigonna rossa e, ancor più ammirate, due lunghe gambe piuttosto discrete e rese ancor più visibili nella quasi loro totalità dal dislivello che ci separa, ci predispone l’animo in tutto un particolare stato, certamente tutt’altro che indicato per la visita del luogo sacro che stiamo raggiungendo.
Al termine della lunga scalinata, che correva a fianco del rilievo, ne segue una seconda, che, superato un soprammattone in cui è stato ricavato un portone, penetra all’interno della collina, che presenta proprio in questo punto una profonda incavatura. Sorpassiamo la coppia che nel frattempo si è fermata ad ammirare il panorama di Praia che è possibile dominare di quassù, poi raggiungiamo attraverso questa ulteriore trentina di scalini un ampio spiazzato circolare, che poi non è altro che uno squallido antro roccioso all’interno della collina, che difatti ci sovrasta con una calotta dai riflessi verdastri a qualche decina di metri di altezza. Accedendovi, ciò che immediatamente ci colpisce, dopo una generale occhiata ricognitiva, è un baracchino di legno collocato a destra entrando, vicino alla parete, adibito a quanto pare alla vendita di coca cola, aranciate e chinotti, che difatti è possibile vedere sistemati su alcune mensole. Preposti a questo commercio assurdo per il luogo sacro in cui ci troviamo, sono quattro o cinque schiamazzanti ragazzini del luogo, che, non contenti, si rincorrono pure ogni tento nel rimbombante antro con indicibile sollazzo. Giustificabile pertanto il nostro stupore, tanto più che, richiamati da un dialogo piuttosto animato proveniente dal fondo della scalinata esterna, ci pare di capire che il custode non sia troppo propenso a permettere a quella turista vista dianzi di entrare con una simile minigonna, non soppesando forse il rischio di poter ricevere magari una imbarazzante risposta del tipo "Allora me la levo!", che senza dubbio lo getterebbe nel più profondo disagio. L’incoerenza del chiosco delle bibite con l’ostentato puritanesimo dimostrato dall’intransigente guardiano, è sentito soprattutto da Alberto, che coglie così l’occasione di ribadire il proprio giudizio sulla Chiesa e compagnia bella espresso già nella discussione impegnata di ieri sera. Il contrasto comunque è netto e stridente.
Riprendiamo la visita. Dunque: l’ambiente, dalla pavimentazione naturale, è piuttosto squallido e vuoto ed è illuminato da un largo squarcio nella parete sinistra attraverso cui, uscendo all’aperto, è possibile andare su una specie di terrazza affacciata sul verde della collina e utilizzabile pure per raggiungere quella che deve essere la canonica, la quale però, da una sommaria occhiata, non ci sembra che offra alcunché di interessante.
Soffermatici un pochino a sedere sul parapetto vicino a questo ingresso secondario, vi rientriamo poco dopo interessandoci stavolta di una fossa recintata, molto probabilmente in corso di scavi archeologici, il cui fondo, completamente buio, è impossibile distinguere.
Poi, mentre per lo spiazzato continuano a rincorrersi vociferanti quegl’impuniti ragazzini del "bar", prendiamo visione di un tabernacolo di marmo incassato nella roccia e di alcune vicine lapidi murate, scoprendo quindi nel continuare a percorrere lo spiazzato lungo il suo perimetro, la chiesa vera e propria situata, con l’unica breve navata rivolta verso Praia e il mare, sopra un paio di scalini. Prima di entrarvi, Alberto piazza su questi gradini il cavalletto, ma proprio mentre è lì tutto concentrato nel determinare il più conveniente tempo di posa per fotografare la cappella che è avvolta in una discreta penombra, ecco passare in questo momento un inopportuno prete che ci fa presente il vigente divieto di scattare foto dell’interno. Alberto ne rimane contrariato.
Entriamo dentro. La chiesa, che ha come pareti la stessa roccia calcarea della montagna e presenta in alcuni punti dei grappoli di stalagmiti, ha come sfondo dietro l’altare il panorama di Praia incorniciato dal frastagliato contorno del gigante ingresso principale della grotta, che comprende appunto ambedue i piani. Il Gianni si spinge addirittura in sacrestia affacciandosi pure ad una sorta di balcone, da cui però non trova alcun spunto neppure per una fotografia clandestina.
Ritornati sull’ampio spiazzato, lo attraversiamo adesso di nuovo, decidendo successivamente, dopo aver cercato di capire da quale punto del1a soprastante calotta rocciosa provengano dei grossi goccioloni, di concludere la visita.
In fondo alla gradinata interna ci soffermiamo però ancora un attimo per osservare un masso recintato da una cancellata, poi usciamo dall’antro discendendo quindi l’altra scalinata su cui verso gli ultimi si è messo nel frattempo seduto per terra un mendicante in cerca di carità.
Risaliti in 124 - sono circa le 18.30 -, rientriamo in Praia -girando quindi a destra sulla statale per riguadagnare così lentamente il Lido di Tortora e a mezzo della successiva deviazione il camping, quando ormai sono le 18.40.
Decidiamo di concludere la serata con un pokerino risolutore, che dopo un po’ si trasforma però in tressette, dopo una necessaria delucidante spiegazione sul regolamento ad uso e consumo del Gianni per l’occasione completamente ignorante in materia. Il nostro tavolo da gioco è sistemato come al solito tra l’ingresso della tenda e l’alberino e questa posizione ci permette di controllare tra una scozzata di carte e l’altra i vari movimenti di quei quattro giovani nostri vicini, che sembra debban togliere anche loro le tende da un momento all’altro.
L’andamento del gioco è in un primo tempo alternativamente favorevole a tutti e tre, ma con l’andar delle mani è l’Ughino che piano piano prende uno schiacciante sopravvento sugli altri dimostrandosi come in altre occasioni un perfetto spennatore di avversari. Alberto scorre intanto a pezzi e brani i giornali dianzi acquistati, mentre il Gianni si diverte a mescolare le carte pure forse più del necessario allo scopo però di esaltarsi nel dimostrare la sua famosa scozzata degne del più navigato biscazziere. Fa intanto buio.
Sarà intanto ormai un’ora e mezzo che giochiamo, per cui lo stomaco comincia a questo punto a ricordarci con discreti gorgoglii di aver desiderio nel possibile di poter concludere la giornata con una cenetta anche senza pretese. Sospendiamo così la partita, che per altro nel frattempo cominciava già per la sua durata a dare un po’ di nausea, sostituendo sul tavolino, messo adesso davanti al 124, le carte e le fiches con tazze, bicchieri e tutto ciò che, tirato fuori dal contenitore arancione di plastica, può rivelarsi acconcio a fermarci lo stomaco. Anche stasera decidiamo di farci una tazza di thè, mentre la scelta del secondo è lasciata al libero arbitrio di ciascuno in conformità alla diversa disposizione di stomaco nei confronti dei formaggini o, che so io, del latte condensato, che però finora sembra abbia trovato piuttosto successo soltanto in Alberto. conclude la cena qualche susina avanzata oggi, mentre… mentre che cosa? .... niente. niente, m’è passato di mente. Ah.
Sulla destra, oltre 1’alberino famoso si stanno piazzando intanto due coppie di sposi di Firenze con tanto di figlioli in tenerissima età, ma il fatto di avere come più diretti vicini di tenda dei concittadini, non ci procura stavolta eccessiva emozione. Chissà perché?
Il buio, già da un pezzo in progressiva prevalenza sulla residua luce, ci costringe dopo breve a ricorrere di nuovo agli anabbaglianti del 124 permettendo così di fare qualche altra mano a carte.
Ad un certo punto, ecco poi sfrecciare fra la tenda e la rete di recinzione una sobbalzante Renault francese, che, arrotato un nostro materassino, rientra quindi nella stradina del camping. Alberto, individuata 1’origine del pirata, riprende allora a colpire con qualificazioni abbastanza pesanti la gallica provenienza, non dimenticando tra l’altro lo spicinio da lei compiuto a Cirella Vecchia, che vedemmo ieri.
Poi, dopo ancora due chiacchiere, giunge il momento di prepararsi per la notte. Fatto uso dei servizi situati dalla parte opposta del camping e della più vicina cannellina per rigovernature gargarismi vari, entriamo in tenda dopo aver chiuso il 124 e cercato di riordinare alla meno peggio le nostre carabattole.
Eccoci così di nuovo in riposante posizione orizzontale, mentre, porco boia!, senti un po’ quei mocciosi della tenda di fronte come sbraitano di già. Certo che, se hanno la malaugurata intenzione di replicare nel cuore della notte un’accurata selezione dei loro più significativi e meglio riusciti vagiti, a noi non ci rimane che, incapaci come saremmo di cazzottare dei concittadini, di spicchettare la nostra Canadese e, sorreggendola sempre montata dall’interno, uscir di camping sotto lo sguardo magari allucinato del custode e finire la notte sulla solatia silenziosa spiaggia. Staremo a sentire, eh! ‘notte!